Il sapore della ciliegia (Ta’m e guilass) di Abbas Kiarostami – Iran – 1997 – Durata 98’

18 Febbraio 2021 | Di Ignazio Senatore
Il sapore della ciliegia (Ta’m e guilass) di Abbas Kiarostami  – Iran – 1997 – Durata 98’
Schede Film e commento critico di Ignazio Senatore
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Badii (Homayon Ershadi) un distinto cinquantenne, aspirante suicida, ha già previsto tutto; dopo aver scavato una buca, ha deciso di prendere dei sonniferi, di sdraiarsi in una fossa e di addormentarsi. A bordo di un’automobile attraversa le polverose e dissestate strade dei poveri villaggi di Teheran alla ricerca di qualcuno che lo aiuti a morire. Alle persone che carica in auto chiede, in cambio di una ricompensa in denaro, di chiamarlo al mattino per nome, controllare se è morto ed in quel caso di ricoprire la fossa che ha scavato con della terra.  Badii prova a convincere dapprima un giovane soldato (Safar Ali Moradi) del Kurdistan, poi uno studente di teologia afgano (Mir Hossein Noori) ed, infine, un vecchio custode (Abdolrahman Bagheri) di un museo di scienze naturali che accetta di aiutarlo nel suo progetto e gli da appuntamento per la mattina seguente. Badii assume i farmaci, si stende a terra nella buca ma al mattino, al risveglio, si gode la vita.

Road movie poetico ed esistenziale che non ha come sfondo le solite assolate e lussureggianti strade americane ma i territori poveri, brulli e desolati dell’Iran. Il film sembra avere un taglio un po’ documentaristico e Badii assomiglia  ad un reporter che sta conducendo un’intervista sugli usi ed i costumi delle diverse etnie che compongono il popolo iraniano. Il regista glissa sulle ragioni che spingono il protagonista a desiderare la morte e, come una litania imparata a memoria, Badii ripete ai suoi ipotetici complici: “Vedi questa buca qua.? Fa attenzione domani mattina presto, alle sei, quando arrivi mi chiami due volte; se io ti rispondo, allora mi prendi per il braccio e mi tiri fuori. Ci sono duecentocinquantamila tomà nel cruscotto, in una busta nera. Li prendi e vai via. Se non rispondo prendi un po’ di terra e me la butti sopra.”  Le reazioni delle persone che contatta sono, naturalmente, diverse tra loro; il soldato se ne scappa a gambe levate; lo studioso di teologia prova a fargli cambiare idea, invitandolo a pranzo ed il vecchio custode gli racconta una propria esperienza personale. In passato aveva tentato idi impiccarsi ad un albero con una corda; un attimo prima di lasciarsi andare aveva sentito il sapore di un gelso e conquistato da quella bontà, ne aveva mangiato un secondo e poi un terzo,  aveva  visto il cielo che si  stava schiarendo, il sole, il verde, aveva sentito le voci dei ragazzi che andavano a scuola ed aveva finito per cambiare idea. Successivamente, nel corso della loro chiacchierata gli racconta un’altra gustosa storiella. “Un turco va da un dottore e gli dice: “Signor dottore, dovunque io mi tocco con il dito mi fa male. Mi tocco la testa mi fa male, mi tocco la gamba mi fa male, mi tocco la pancia mi fa male, mi tocco la mano mi fa male. Ed il dottore gli risponde: Caro signore, lei ha il dito rotto. Il resto del corpo sta bene. Caro signore, tu hai il pensiero che è malato, in realtà tu stai bene. Cambia il tuo modo di pensare. Un gelso mi ha profondamente cambiato, il mondo è diverso.”  La regia è asciutta ed essenziale e Kiarostami non si lascia sedurre dalle sirene moralistiche e più che  condannare o giudicare si limita a mostrare lo smarrimento del protagonista. Il film si chiude con una macchina da presa che entra in campo, mostra la troupe al lavoro, mescolando così realtà e finzione. Incomprensibilmente nel titolo italiano il sapore del gelso è mutato in quello della ciliegia. Palma d’oro ex aequo al 50 Festival di Cannes 1997.

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