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10 Dicembre 2014 | Di Ignazio Senatore
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Ladybird Ladybird

Maggie ha incontrato nella sua vita soltanto uomini che, dopo averla gonfiata di botte, l’hanno abbandonata al suo destino. Nonostante le difficoltà, lei si é sempre presa cura dei suoi quattro figli, nati tutti da relazioni diverse. Una sera, mentre é in un pub in compagnia di amici, scoppia a casa sua un incendio: i suoi figli, lasciati soli, si salvano per miracolo. Il Servizio Sociale, dopo quest’incidente, ritenendola incapace di accudire la prole, in nome della tutela e della difesa dei minori, le sottrae i figli. Maggie, di fronte alla cieca e sordida violenza istituzionale-burocratica, non sceglie la via della mediazione o quella dei compromessi ma quella della rivolta istintiva ed emotiva. Gli insensibili ed ottusi assistenti sociali leggono i comportamenti della donna come manifestazioni evidenti della sua instabilità emotiva, della sua incapacità di accudire i piccoli e trasformandosi  in esecutori testamentali decretano la morte dell’intera famiglia, che non verrà di fatto più ricomposta. Maggie conoscerà Jorge, un esule latino-americano ed avrà da lui due bambini. La donna si imbatterà ancora nei suoi  implacabili persecutori che le sottrarranno nuovamente i prodotti del suo concepimento. Ma neanche questa rinnovata e sordida violenza, perpetuata ai suoi danni la fermerà; i due protagonisti, solo dopo aver nuovamente messo al mondo altri tre bambini, riusciranno finalmente a costituire quel nucleo familiare così ardentemente desiderato.

Bad boy Bubby

Bubby ha trentacinque anni e vive in uno squallido scantinato. Non ha mai messo il naso fuori casa, perché convinto dalla madre che, si può sopravvivere nel mondo esterno, solo se si calza in volto una maschera anti-gas. Senza amici, né interessi, Bubby, enfant-sauvage, possiede un idioma molto limitato, fatto di frasi che ripete senza capirne il senso. Totalmente passivo e dipendente da sua madre, subisce le sue aggressioni fisiche e fa tutto quello che lei gli chiede; senza ribellarsi, infatti, accetta che la donna lo usi per i suoi desideri sessuali. L’unico svago per Bubby é quello di travestirsi da donna e di impersonare il ruolo della madre; chi prende il suo posto e subisce le sue inaudite torture é un  povero gattino, che morirà in seguito vittima dei suoi giochi “innocenti”. Ma un giorno, dopo anni di assenza, compare suo padre, un uomo rozzo e violento che, con il suo arrivo lacera il rapporto perverso e fusionale madre-figlio. Bubby non riesce a  comprendere come possa essere escluso dai giochi erotici della coppia e lentamente, a poco a poco, intuisce che i suoi genitori gli hanno sempre mentito; una notte, mentre i due dormono,avvolge  il loro volto in uno spesso strato di cellophan ne e li uccide. Una volta fuori di  casa, si ritrova in un mondo sconosciuto, nel quale vigono delle  regole che gli appaiono assurde ed incomprensibili; l’unica risorsa a sua disposizione é quella di riprodurre mimeticamente i gesti e le parole degli altri. Nel corso del suo vagabondare senza meta, dopo varie peripezie incontrerà una band musicale, che per caso, gli permette di esibirsi in pubblico ; per l’originalità delle sue improvvisazioni canore, Bubby diventerà una rock-star, idolo di migliaia di fans.

Once were warriors

Jack, soprannominato la “Furia” é una vera e propria forza della natura. Ama la moglie Beth ma quando é  in preda ai suoi accessi di ira  violenti e devastanti nulla può fermarlo. La donna, alla vigilia del processo a carico di uno dei suoi figli é picchiata selvaggiamente dal marito; per le percosse ricevute é talmente sfigurata in volto che non può presentarsi in tribunale per difendere il ragazzo, accusato di un piccolo furto. Il giudice, compreso lo stato di degrado nella quale il minore é costretto a vivere, lo sottrae alla tutela dei suoi genitori  e lo spedisce in riformatorio. La donna, nonostante tutto cerca di mettere in ordine nella sua famiglia; il primogenito, in rotta con il padre ed alla ricerca di una sua identità, é già scappato di casa, per entrare a far parte di una banda di “guerrieri della notte”; le sue figlie, creature sensibili e delicate, sono chiuse ed introverse, costrette a respirare quel clima di inaudita violenza che circola in casa. In un crescendo di tensione la figlia maggiore si uccide dopo essere stata violentata dallo zio. Beth, dopo questo episodio riesce a ricostituire l ‘unità nel gruppo familiare ed abbandonato il marito, parte in compagnia dei suoi figli verso lidi lontani.

Tre registi da sconsigliare a chi, credendo che la settima arte debba essere principalmente un mezzo di evasione e di puro intrattenimento, preferisce le trame ambientate in ville lussuose con piscina, lontane dai clamori del mondo e dalle sue contraddizioni. Tre pellicole lontane anni luce, da quei film, testimonial del “cinema della crudeltà”, che per scopi commerciali e di cassetta, da anni, invadono lo schermo, con trame caramellose o strappalacrime su famiglie lacerate e disturbate . Tre film da amare per la loro purezza e perfezione stilistica, per l’intensità e la crudezza delle loro storie . Kenneth Loach, indimenticabile autore di Family Life, anche se meno ironico di Stephan Frears, con il suo impegno sociale si é sempre discostato dal panorama cinematografico britannico, reso celebre dalla calligrafia e dalla pomposità di Attenborough, dall’intellettualismo di Branagh. Dal suo canto Lee Tamahori é certamente meno lezioso ed asettico della sua conterranea Jane Champion e Rolf de Heer, sconosciuto alla grossa critica, si rese protagonista, all’ultima Mostra di Venezia, di un piccolo miracolo; con il suo film mandò all’aria ogni accordo geopolitico sui premi da assegnare in quella Rassegna. Tre cineasti che non ci offrono personaggi  incipriati o porcellanati, ma personaggi vivi e pulsanti, come raramente ci accade di vedere al cinema. In Ladybird,Ladybird, uno dei figli sottratti alla madre, lanciando un disperato apppello alla stampa, si chiede se c’è nel mondo qualcuno disposto ad amarlo. Nel film di De Heer, Bubby  é vittima della madre più spietata ed anaffettiva che sia mai comparsa sullo schermo, di una donna che per il suo tornaconto personale gli ha strappato di dosso la vita ,riducendolo in uno stato vegetativo. In Once were warriors, Jack, un uomo schiacciato dal suo passato di “culo nero”, di povero schiavo non é in grado di affrancarsi da questa sua penosa eredità. Senza scadere in facili sentimentalismi queste loro storie addentano la nostra carne, fino a farci sentire un sordido dolore, lasciandoci senza respiro. Tutti i commoventi ed inquietanti protagonisti che sfilano in questi film hanno imparato a combattere le loro battaglie all’interno delle loro famiglie ; seppur consapevoli che il mondo non ha previsto per loro un posto riservato, dal quale godersi lo spettacolo della vita, ognuno lotta allo spasimo, fino allo stremo delle sue forze, per rivendicare il diritto ad appartenere ad un’umanità che di fatto, lo ha escluso dal loro consesso. E se il cinema, come affermava Samuel Fuller, é ” un campo di battaglia” a noi  non resta che schierarci al fianco di questi valorosi guerrieri.

Filmografia

Bad boy Bubby di Rolf de Heer  Australia 100′ 1993

Ladybird Ladybird di Ken Loach G:B 102′ 1994

Once were warriors di Lee Tamahori  Nuova Zelanda 99′ 1994

da “Connessioni” Rivista di consulenza e ricerca sui sistemi umani N. 11 Dicembre 1995

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