Claire Cooper (Annette Bening), una sensitiva, è sposata con Paul (Aidan Quinn), un pilota aeronautico, ed è madre della piccola Rebecca. Claire ha una visione: una figura indistinta con i capelli rossi che trascina una bambina in un frutteto. Il giorno successivo Rebecca scompare e il suo corpo privo di vita, viene trovato in un frutteto. Claire è così sconvolta che sale in auto e, dopo aver percorso un paio di curve, si lancia nel vuoto. Dopo sei settimane di coma Claire si riaffaccia alla vita ed è seguita dal dottor Silverman (Stephen Rea), uno psichiatra accogliente e comprensivo. Claire continua a essere invasa da incubi e premonizioni e, dopo aver visualizzato una bambina incatenata a letto in una stanza piena d’acqua, comprende che il serial killer, un certo Ivan Thompson (Robert Donwney Jr.), l’ha rapita. Nessuno le crede e viene ricoverata in manicomio. Fugge e dopo aver ammazzato il sanguinario assassino, libera la piccola.
Film adrenalinico girato da un regista che normalmente naviga in acque più tranquille e più care al cinema autoriale. Jordan cerca di controllare un genere (il thriller) che non è nelle sue corde e la storia deborda continuamente fino a perdere quota. Ma non manca il tocco del Maestro che ci regala un paio di scene da cardiopalmo: su tutte quando Claire, in preda a un grave stato d’angoscia distruttiva, si taglia i polsi e con il suo sangue imbratta le pareti di casa con frasi incomprensibili. Tratto dal romanzo Doll’s eyes di Bari Wood.
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