Io sono Tempesta di Daniele Luchetti – Italia – 2018

16 Maggio 2018 | Di Ignazio Senatore

Per un vecchio reato di frode fiscale, il milionario Numa Tempesta (Giallini) è condannato a frequentare un Centro d’accoglienza  ed a prendersi cura di senzatetto ed immigrati, che dovranno poi relazionare sul suo operato alla severissima ed inflessibile Angela (Danco).

Tra gli ospiti Bruno (Germano), il giovanissimo figlio Nicola ed un gruppo di simpatici barboni. Come prevedibile, Tempesta. inizialmente, non riuscirà a legare con loro ma, dopo le iniziali incomprensioni…

Fatta eccezione per le incursioni “giovanili” nella commedia (Domani accadrà, La settimana della sfinge), Daniele Luchetti, sin dall’indimenticato ed inimitabile Il portaborse (1991), ha sempre lanciato strali contro la corruzione ed il malaffare che impera nel Bel Paese, prediligendo (anche nei successivi Arriva la bufera e Mio fratello è figlio unico) il tocco ironico e graffiante della “commedia sociale”. 

Un genere, che a differenza del cinema di “impegno civile”, non solo ammorbidisce i toni della denuncia, ma punta (anche) a far sorridere (amaramente) lo spettatore, invitandolo (sottotraccia) a porsi interrogativi ed a promuovere dentro di sé commenti e riflessioni.   

Fedele al suo stile assolutamente personale, anche in Mi chiamo Tempesta, Luchetti affronta, in maniera grottesca, lo spinoso tema della diseguale distribuzione della ricchezza e lo fa prendendo spunto da una vicenda reale; la condanna ai servizi sociali dell’ex premier Silvio Berlusconi.  

Luchetti non punta l’acceleratore sulle gag, non vuole strappare facili sorrisi, ma, con garbo, ci mostra un gruppo di barboni che s’incontrano in un Centro d’Accoglienza per fare colazione, pranzare insieme e godere del piacere di una doccia calda.

A far da contro-altare a questo manipolo di personaggi “brutti, sporchi e (non) cattivi” Numa Tempesta, uno dei tanti (troppi?) squali della finanza che circolano sul suolo nostrano, un faccendiere cialtrone e sornione che, frodando il fisco, e corrompendo le “persone che contano”, ha accumulato negli anni milioni su milioni.

La scommessa (vinta) di Luchetti è quella di confezionare una vicenda “politicamente scorretta” che ribalta, in qualche modo le stereotipate rappresentazioni dei ricchi milionari (visti per lo più in negativo) e quelle degli “ultimi” e dei barboni (descritti per lo più con un tocco commiserevole, pietistico e compassionevole).

In un film dove tutti sono buoni e nessuno è cattivo, perfino Numa Tempesta non é detestabile e respingente, ma suscita, all’opposto, un’irresistibile fascino e simpatia.

Io sono Tempesta non rimanda in alcun modo ad Un povero ricco, diretto da Pasquale Festa Campanile e non cade nella retorica dei buoni sentimenti ma, fedele ai canoni della favola metropolitana, ripropone il solito ricco che, pur avendo accumulato una montagna di soldi, è solo, insonne, infelice, senza amici ed è tormentato da un rapporto conflittuale ed irrisolto con il padre che lo ha sempre giudicato “un coglione”; dall’altro canto una ciurma di barboni senza il becco di un quattrino che solidarizzano tra loro, fanno squadra e si aiutano a vicenda.

Tra loro spicca Bruno, scaltro e spregiudicato borgataro, il primo a comprendere che l’incontro con Tempesta sia una manna dal cielo che possa far fruttare a lui ed ai suoi compagni di sventura degli insperati vantaggi.

L’incontro tra Numa e Bruno si trasformerà, infatti, nel corso della vicenda, in una solida amicizia ed anche se non siamo dalle parti del classico “buddy movie”, Luchetti ci ricorda che quando s’incontrano due “imbroglioni”, essi si riconoscono a fiuto ed, in un lampo, iniziano a fare affari insieme. “Pe’ capi’ un paraculo ce vo’ n’artro paraculo!” dichiara festante il furbo ed astuto Bruno.

Una delle intuizioni più felici del film di Luchetti è quella di mostrare come il cinico Numa Tempesta instilli in quei “disperati” il germe della truffa e li addestri a trovare degli espedienti per accumulare denaro. In questa sorta di Scuola di Ladri, Luchetti lascia trasparire che ai giorni nostri, il confine tra lecito ed illecito è sempre più esile e sottile e che tutti, indipendentemente dal reddito e dalla propria condizione sociale, pur di ottenere soldi e prestigio, sono disposti a dare un calcio all’etica ed alla morale.

Al grigio, spoglio ed inospitale Centro d’accoglienza, fa da controaltare, in maniera un po’ scolastica, il lussuoso albergo con piscine, stucchi dorati e camere con le Jacuzzi, nel quale vive, come un lupo solitario, il losco e disonesto faccendiere.

All’intransigente, incorruttibile e rigida Angela, responsabile del Centro, Luchetti contrappone Radiosa (Simonetta Columbu), Klea (Klea Marku) e Mimosa (Sara Deghdak), tre simpaticissime escort, aspiranti psicologhe, che fanno da dolce compagnia a Tempesta.

Il regista romano s’affida in sede di sceneggiatura a Sandro Petraglia ed a Giulia Calenda, a Luca Bigazzi come direttore della fotografia, cita “spudoratamente” Shining di Kubrick e strizza l’occhio al cinema di Frank Capra ed a quello americano degli Anni Trenta.

Giallini è in gran spolvero (specie quando nelle prime battute si rivolge ai “poveri” apostrofandoli con degli sferzanti: “Siete dei morti di fame”, “Voi siete poveri perché siete poveri dentro”), Germano è sempre più schioppettate, Eleonora Danco è, invece, un tantino sopra le righe. Imperdibili i titolo di testa con la travolgente canzone di Enzo Iannacci “Ho visto un Re”.

Recensione pubblicata sul numero 211 della Rivista Segno Cinema.

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