La casa dalle finestre che ridono di Pupi Avati – Italia – 1976

25 Maggio 2015 | Di Ignazio Senatore

Stefano (Lino Capolicchio) è un giovane pittore chiamato a restaurare un affresco di san Sebastiano dipinto da Buono Legnani, artista locale, folle e maledetto, soprannominato “il pittore delle agonie” per la sua passione nel ritrarre le persone in punto di morte, scomparso alcuni decenni prima in circostanze misteriose dopo essersi appiccato fuoco. Stefano intuisce che un mistero si cela dietro quell’affresco anche perché nel frattempo il paese sembra percorso da fremiti improvvisi: Antonio, un amico di Stefano, affetto in passato da problemi mentali, si lancia misteriosamente dal balcone di casa; Coppola (Gianni Cavina), un alcolizzato che sbarca il lunario facendo il tassista, ogni tanto ad alta voce minaccia i suoi concittadini di spifferare qualche ingombrante segreto. Il restauro è quasi terminato, ma una mano ignota lo distrugge con l’acido muriatico. Stefano sta per mollare tutto, quando scopre che l’affresco è considerato maledetto perché le sorelle del Legnani nel corso di cerimonie orgiastiche compivano sacrifici umani e si accoppiavano con il fratello. In un finale onirico e malsano, Stefano viene pugnalato a morte dalle sorelle del pittore.

Incursione nell’horror di uno dei più delicati cantori della provincia emiliana. Pupi Avati ammanta di mistero la pellicola e sin dalle prime battute ci mostra il protagonista che allucina una donna vestita all’antica, con cappello e veletta, che coglie fiori in un prato; un attimo dopo gli stessi sono in bella vista in un vaso sull’altare della chiesa dove è custodito l’affresco. Il regista ricorre agli stilemi del genere: porte che sbattono; un misterioso persecutore che bisbiglia al telefono frasi incomprensibili; un vecchio nastro con la voce registrata del pittore, che viene, misteriosamente, cancellato. Per stemperare la tensione il regista introduce la melensa storia d’amore tra Stefano e Francesca (Francesca Marciano). Ma più che la trama e l’ambientazione, ciò che colpisce è la disperata figura del Legnani, vittima della follia delle sorelle, costretto a nascondersi per non essere ricoverato al manicomio di Rovigo e che in assenza di modelle si mirava allo specchio e dipingeva figure con il proprio volto e con un corpo di donna. Il titolo è un riferimento alla casa natale del Legnani che aveva dipinto sugli infissi delle finestre delle enormi labbra sorridenti.

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