La mia vita senza me (Mi vida sin mi) di Isabel Coixet – Spagna -2003- Durata 101’

11 Gennaio 2021 | Di Ignazio Senatore
La mia vita senza me (Mi vida sin mi)  di Isabel Coixet – Spagna -2003- Durata 101’
Schede Film e commento critico di Ignazio Senatore
0

Ann (Sarah Polley), ventitreenne moglie di Don (Scott Speedman), disoccupato, e madre di Penny e Pezzy, due deliziose bambine, lavora come inserviente all’università.

Spediti in soffitta sogni e aspirazioni, vive una vita anonima e senza sussulti, accampata in una roulotte nel giardino di casa della madre.

Dopo un lieve malessere effettua un banale controllo medico e il ginecologo le diagnostica un tumore alle ovaie in fase avanzata e un’aspettativa di vita non superiore a due mesi.

Confusa, abbandona lo studio medico e attraversa la città, come un pugile suonato, abbagliata dallo scintillio delle vetrine.

Con eroica e stoica rassegnazione, Ann, invece di cercare chi possa accudirla e aiutarla a contenere dolore e disperazione, non solo non piange, non urla, non si dispera, ma tiene il dolore per sé, affida a un diario e a un nastro audio qualche frase augurale per i  prossimi compleanni delle bambine.

Prima di morire, in maniera responsabile, cerca di trovare una moglie per il marito e una madre per le figlie e, per chiudere il cerchio, va a trovare il padre in carcere che non ha mai voluto incontrare prima.

Come risvegliata da un lungo sonno, Ann cerca di concedersi emozioni e desideri da sempre repressi.

Per poter dire a se stessa di aver vissuto una vita a pieni polmoni, fatta non solo di rinunce e sacrifici, si concede infine, una fugace relazione con Lee (Mark Ruffalo), un dolce geometra, conosciuto per caso in una lavanderia.

La regista catalana (Le cose che non ti ho mai detto, La vita segreta delle parole, Another me, La casa dei libri…) ambienta la vicenda a Vancouver e compone un cancer-movie sussurrato, intimo e sospeso, dove la sofferenza della protagonista è messa sottotraccia e lasciata (quasi) fuori campo.

Per tutto il film Coixet non scade nel melodramma, non fa appello ai fazzoletti e regala ad Ann né una lacrima, né il minimo cedimento emotivo, ma un dolore composto e trattenuto.

Per tutto il film Ann soffoca il proprio dolore, non comunica né al marito, ai familiari o a Laurie (Amanda Plummer) l’inseparabile amica, il proprio male e, con lucida determinazione, nella scena più toccante del film, si siede al tavolo di un bar e, dopo aver ordinato qualcosa da bere, appunta in un diario:

“Cose da fare prima di morire: dire alle mie figlie che le amo parecchie volte al giorno. Trovare una moglie a Don che piace alle bambine. Registrare augurio di compleanno per le bambine fino a diciotto anni. Andare tutti insieme a Whalebay Beach e fare un fine settimana. Fumare e bere quanto mi pare. Dire quello che penso. Fare l’amore con altri uomini per vedere com’è. Fare innamorare qualcuno di me. Andare a trovare papà in prigione. Mettermi le unghie finte e fare qualcosa ai capelli.”

A rinforzare la solitudine ed il dolore della protagonista il pessimo rapporto con la madre, una donna dura ed asfissiante, e con il padre, un uomo dal burrascoso passato.

Il film è un piccolo gioiello di pulizia formale e la regista limita al massimo svolazzi e movimenti di macchina. Tra i brani musicali Senza fine di Gino Paoli.

Dal romanzo Pretending the bed is a raft della co-sceneggiatrice Nanci Kincaid

Comments are closed.

Questo sito utilizza strumenti di raccolta dei dati, come i Cookie. Questo sito utilizza Cookie tecnici e di terze parti per fornire alcuni servizi. Maggiori Informazioni

Questo sito utilizza i cookie per fonire la migliore esperienza di navigazione possibile. Continuando a utilizzare questo sito senza modificare le impostazioni dei cookie o clicchi su "Accetta" permetti al loro utilizzo.

Chiudi