Giordano (Antonio Albanese) vive in Puglia nella masseria di sua proprietà, insieme a due vecchie zie, Suntina (Angela Luce) e Eugenia (Marisa Merlini). Ricoverato a lungo in manicomio e considerato il “matto” del paese, trascorre le giornate a far brillare le mine ancora disseminate nei campi. Un giorno riceve da Bologna una lettera della cognata Liliana (Katia Ricciarelli), sposa del fratello, morto alcuni anni prima e madre dello scapestrato ed imbroglione Nino (Neri Marcorè) che gli chiede ospitalità. Superate le resistenze delle vecchie zie, Giordano, un tempo segretamente innamorato di Liliana, l’accoglie in casa. L’ingresso in campo di Liliana gli donerà nuovamente serenità, gioia di vivere ed una rinnovata sessualità. Dopo alcune disavventure, convola a nozze con lei.
Avati impagina una favola ambientata nell’Italia misera ed affamata del secondo dopoguerra e lascia che la narrazione ruoti intorno allo smarrito, tenero e romantico protagonista, affetto da un’imprecisata malattia mentale e sottoposto, un tempo ad ESK-terapia. Il regista emiliano non scade nella stereotipata rappresentazione cinematografica del “matto”, bizzarro e stralunato che strappa il sorriso per i suoi astrusi comportamenti ma descrive Giordano come un uomo così sconfitto dalla vita che è disposto a sfidare ogni giorno la morte, sminando i campi. Tenere le sue visite in manicomio dove va a trovare un vecchio amico, con la mente ormai completamente annebbiata a cui, felice come un bambino, racconta la storia d’amore che l’ha inaspettatamente travolto.
Per i rimandi filmografici, le schede film ed un esaustivo approfondimento sul tema si rimanda ai volumi “Cinema Mente e Corpo” e “Cinema (italiano) e psichiatria” di Ignazio Senatore – Zephyro Edizioni.
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