Il romanziere Hugo (Andrzej Zulawski), sposato con Agatha (Beatrice Agenin) e padre di Martin (Jean-Claude Adelin), ha ottenuto il successo con un romanzo nel quale ha narrato l’amore per Lea (Charlotte Rampling), ora affermata scultrice, dalla quale, vent’anni prima, attendeva un figlia, mai nata.
Lea ha una torbida relazione con Prudence (Myriem Roussel), giovane e bella allieva che, gelosa dell’antico amore tra Lea ed Hugo, per vendicarsi dell’uomo, gli regala una statua che raffigura una madre ed una neonata.
E’ il primo passo del suo progetto che mira a sedurre dapprima Hugo e poi suo figlio Martin. Riuscirà nel suo piano?
La regista Joy Fleury, all’esordio, (e al suo unico film) dirige il remake de L’amaro giardino di Lesbo di Masahiro Shinoda (1965), tratto dall’omonimo romanzo di Yasunari Kawabata e, non disdegnando qualche scena soft-erotica, girata con eleganza e raffinatezza, sposta l’azione dal Giappone a Parigi ed ai giorni nostri.
Al centro della narrazione di questo melodramma un quadrilatero malsano e malato composto da personaggi delusi e sconfitti; Hugo, (il regista Zulawski qui in veste d’attore), da sempre innamorato di Lea, ma che non ha avuto il coraggio di lasciare moglie e figlio.
Lea, una donna che, dopo la tormentata relazione con Hugo, non può più avere figli e si strugge ancora d’amore per lui.
Prudence, invaghita della sua maestra e testardamente impegnata a vendicarla; e, infine, Agatha, moglie infelice, incapace di legare a sé il marito. In questo melodramma borghese che, come prevedibile, culminerà con una tragedia, a farne le spese sarà il tenero e ingenuo Martin.
Fleury mostra la giovane e talentuosa Prudence scolpire la statua che donerà a Hugo e Lea nel suo studio alle prese con pennelli e scalpelli.
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