L’aria salata di Alessandro Angelini– Italia – 2006 – Durata 87’

25 Gennaio 2022 | Di Ignazio Senatore

Per un omicidio Luigi Sparti (Giorgio Colangeli) è  condannato a scontare trent’anni di carcere. Ne ha già trascorsi venti in cella ed un giorno è trasferito a Rebibbia dove lavora come educatore Fabio (Giorgio Pasotti) il figlio che lui ha abbandonato da piccolo e con il quale, dopo la condanna, ha volutamente tagliato i ponti. Fabio è turbato e confuso e decide di non rivelare al padre la propria identità, né di farne cenno ad Emma (Katy Saunders) la sua dolce fidanzata. Dopo aver confidato a sua sorella Cristina (Michela Cescon) la scottante verità, pedina con lo sguardo suo padre, lo osserva e lo scruta. Fabio lascia trascorrere del tempo prima di spiattellagli la verità ma quando per ottenere la semi-libertà finge di essere epilettico, non lo smaschera e gli fa ottenere un giorno di permesso. Prima del tragico epilogo padre e figlio si guardano  negli occhi e spremono i loro cuori.

Partendo da un’esperienza personale come volontario nel carcere di Rebibbia, Angelini, all’esordio dietro la macchina da presa, squarcia il panorama del cinema italiano con questa pellicola intensa e convincente, scritta con stile asciutto ed incisivo. Il regista lavora per sottrazione e si affida ai silenzi e a gli sguardi in macchina dei protagonisti e mette in scena una storia fatta di pudore e di tenerezza, di rabbia e di ribellione. Nel corso del film Fabio accusa l’anziano genitore di non aver risposto alle lettere che gli aveva inviato in carcere, di essersi sottratto alle sue responsabilità di padre e di aver scaricato tutto sulla madre. L’uomo non vacilla neanche un istante ed a muso duro, lui gli risponde: “Ci hai avuto un padre così, con chi te la vuoi prendere? Ma che ti credi che all’improvviso, dopo venti anni mi metto a fare il padre? Non sapevo nemmeno se eravate vivi o morti. Ve dovevo cercare io? Non lo sapevate dove stavo. Che pensavate che m’ero nascosto?”

Il film è ben calibrato ed in ogni inquadratura traspira la nostalgia per una figura paterna a cui Fabio ha dovuto rinunciare per tutta la vita  Dopo aver rivelato ad Emma di essersi imbattuto nel proprio padre, Fabio le confessa:“Mi è mancato tutto, anche le cose più semplici; una passeggiata in bicicletta, sentire le partite alla radio con lui la domenica, mi sono mancate le sue mani. Come si fa a crescere senza mai essere presi in braccio, mai?”. Non mancano i momenti teneri e struggenti; su tutti quelli dove Luigi racconta al figlio come mai l’ha chiamato Fabio: “Io e tua madre non sapevamo come chiamarti ed allora ho pensato: Scendo per strada ed il primo che mi saluta  gli do il nome suo. Solo che non  incontravo nessuno che conoscevo ed allora continuo, continuo…Indovina chi mi saluta per primo? Fabio, lo spazzino. Ci aveva una cultura e poi era l’unico che aveva un lavoro onesto nel quartiere. E Poi Fabio è un bel nome. C’era un vicino di casa che si chiamava Settimio.” Il film è praticamente perfetto ma pende forse un po’ troppo dalla parte di Sparti, ammantato fin troppo di un alone romantico ed eroico. Meritatissimi David di Donatello 2007 a Giorgio Colangeli come miglior attore e Donatella Botti come miglior produttore.

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