Ricky (Antonio Banderas) ama segretamente Marina (Victoria Abril), una nota attrice, e non appena è dimesso dal manicomio dove è stato ricoverato alcuni anni, piomba sul set dove lei sta girando le ultime scene di un film horror, diretto da Massimo (Francisco Rabal), regista settantenne, inchiodato su una sedia a rotelle. Ricky prova a far breccia nel cuore di Marina che, fredda e decisa, lo liquida su due piedi. Testardo e cocciuto, Ricky la segue fino a casa ed entra a forza nel suo appartamento. Marina prova a reagire, ma lui la colpisce al volto e, mentre confessa lo smisurato amore che prova per lei, l’imbavaglia, la lega al letto e l’ammanetta. Sconvolta e terrorizzata, Marina gli urla in faccia il proprio disprezzo, poi, finge di stare al suo gioco e, divenuta docile e mansueta, l’implora di accompagnarla da Berta (Maria Barranco), un’amica dentista, con la scusa di dover per placare un incoercibile dolore ai denti. Invano, Marina prova a destare l’attenzione della dottoressa, che le prescrive un farmaco che si può reperire solo al mercato nero. Per procurarsi quel sonnifero, Ricky deruba una spacciatrice, ma è pestato dai suoi complici. Nel vederlo ridotto uno straccio, Marina s’intenerisce, lo medica e fa l’amore con lui. Lola (Loles Lèon), sorella di Marina, Massimo e gli altri membri della troupe provano, invano, a mettersi in contatto con lei. In maniera rocambolesca, Lola riesce a liberarla dal suo carceriere, ma Marina, perdutamente innamorata, decide di vivere per sempre al suo fianco.
Commedia esile ed acerba diretta con la tipica verve dall’irriverente regista spagnolo. L’idea che una donna s’innamori del suo sequestratore non è nuova al cinema, ma Almodovar più che scavare nei meandri dei due protagonisti, si limita a confezionare un film che galleggia tra la commedia ed il melodramma. L’avvio è però entusiasmante e, dopo una piccola incursione nel cinema nel cinema, Ricky è descritto come un venticinquenne dal cuore tenero, solo al mondo, e con una dolorosa infanzia alle spalle; a tre anni era stato spedito in un orfanotrofio e, dopo qualche anno trascorso in riformatorio, era stato ricoverato in una clinica psichiatrica. Dopo i sussulti iniziali, la vicenda si trascina però in maniera prevedibile e la pellicola deve la sua forza sulle variopinte scenografie di Esther Garcia e sui festosi costumi di Josè Maria de Cossio e Peris Hermanos e sulle divertenti musiche di Ennio Morricone che fanno il verso alle colonne sonore dei classici del giallo.
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