Lilith, la dea dell’amore (Lilith) di Robert Rossen – USA – 1964 – Durata 112’ – B/N – V.M 18

1 Ottobre 2020 | Di Ignazio Senatore
Lilith, la dea dell’amore (Lilith) di Robert Rossen – USA – 1964 – Durata 112’ – B/N – V.M 18
Schede Film e commento critico di Ignazio Senatore
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Appena congedatosi dall’esercito, spinto dal desiderio di voler aiutare il prossimo, il giovane Vincent Bruce (Warren Beatty) va a lavorare presso la clinica per malattie mentali della città natale. A Vincent è affidato il compito di scambiare quattro chiacchiere con i pazienti, di sorvegliarli con discrezione e di riferire, poi, alla dottoressa Bea Brice (Kim Hunter) le sue impressioni. Il tenero e disarmante Vincent s’integra immediatamente nella struttura ed infonde negli ammalati speranza e sicurezza. Dopo aver resistito inizialmente alle avance di Lilith (Jean Seberg) una giovane paziente schizofrenica, cede,  convinto che  l’amore per lei possa proteggerla e  metterla al riparo dalla follia. Stephen (Peter Fonda) un altro ricoverato, segretamente invaghito di Lilith, scoperto l’idillio, s’uccide. Per lo shock Lilith ripiomba nuovamente in un mondo popolato da incubi e da allucinazioni e scivola sempre più in uno stato catatonico, immobile, con lo sguardo fissa nel vuoto. Deluso e frastornato Vincent decide di abbandonare la clinica ma quando è sul punto di varcare il cancello, ritorna sui propri passi e chiede aiuto alla dottoressa Brice. 

Pellicola amara e disperata, passata incomprensibilmente sotto silenzio, che avrebbe meritato di gran lunga ben altra fortuna. Sin dalle prime battute Rossen smorza i toni ed avvolge la pellicola in una struggente melanconia. Lilith è descritta come una donna solare e piena di vita segretamente tormentata da un doloroso evento del passato; alcuni anni prima, il fratello a cui lei era morbosamente legata, si era ucciso per sottrarsi alle sue avance. Anima in pena, per tutta la vita Lilith elemosina amore ed, assetata di calore umano, sul finale, confondendo sessualità con affetto, si tuffa tra le braccia di un’altra ricoverata. Acuta ed attenta, nelle prime battute del film, le basta un solo sguardo per mettere a nudo le debolezze di Vincent: Il regista lascia che la fragilità della protagonista resti sepolta dalla cenere ed esploda, all’improvviso, nel drammatico finale. Il film si apre con la dottoressa Brice che, dopo aver mostrato al giovane Vincent il reparto femminile e poi quello maschile, prova a scoprire quali reazioni covi l’aspirante infermiere: “E’ un po’ meno impressionante questo reparto. La pazzia, non so perché è un po’ meno sinistra nell’uomo di quanto lo sia nella donna. Ho voluto farle incominciare dal peggio.”

La clinica, frequentata da rampolli di famiglie benestanti, è molto ospitale ed i ricoverati trascorrono le loro giornate, passeggiando nel prato antistante o facendo delle piacevoli scampagnate in compagnia degli infermieri. A rimarcare gli aspetti demoniaci della protagonista il mito mesopotamico di Lilith, demone notturno, ritenuto portatore di disgrazie e dotato di una sfrenata sessualità. Piccola apparizione di Gene Hackman nella parte di Norman, marito di un ex fiamma di Vincent. Da romanzo di J.R. Salamanca.

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