Harold Pelham (Roger Moore), uno dei maggiori azionisti della “Freeman Pelham & Dawson”, è il classico gentleman della City londinese. Mentre è alla guida della sua Rolls Royce, come colto da un misterioso raptus autodistruttivo, inizia a pigiare sull’acceleratore e l’auto si schianta contro una lastra di cemento. Ricoverato in ospedale, le sue condizioni sono talmente gravi che, per un attimo, la vita l’abbandona. Ristabilitosi, ritorna a casa e riprende la vita di un tempo accanto alla moglie Eva (Hildgard Neil) e ai loro due bambini. Tutto sembra filare liscio, ma una serie di strane coincidenze inizia a turbarlo: un vecchio amico si congratula per la sua vittoria a biliardo avvenuta la sera precedente; il barbiere gli ricorda che era già passato nel pomeriggio per una spuntatina ai capelli e Julia, un’affascinante fotografa, gli lascia intendere che ha con lui, da un po’ di tempo, un’infuocata relazione. Harold non ricorda nulla di tutto ciò e dopo aver scartata l’ipotesi di un colossale scherzo ordito alle sue spalle, per non impazzire si rivolge a uno psichiatra che, dopo averlo ascoltato, gli dice: “Devo ammettere che il suo caso è abbastanza sconcertante. Vede, nelle cosiddette allucinazioni da sosia i pazienti credono di avere a che fare non con persone reali, ma con dei sosia di queste persone. Nel suo caso, invece, non è lei che vede dei sosia, ma sono gli altri che assicurano di aver visto un suo sosia. Tutti noi siamo in un certo senso più di una persona. La bombetta, l’ombrello e quella camicia con il colletto duro, quelle cose simbolizzano tutto quello di cui si deve liberare. Non si renda schiavo delle convenzioni”. Ma la girandola delle circostanze sospette non si arresta e Harold inizia a credere realmente all’esistenza di un sosia. È in atto una colossale fusione con una grande industria e Harold è accusato da Alex ((Kevork Malikyan), il suo migliore amico, di spionaggio industriale e di aver rivelato ai concorrenti un segreto relativo a una loro recente scoperta. Harold è ancora più confuso e telefona a casa, ma Luis, il fido maggiordomo, gli rivela che il “vero” signor Pelham è nella sua stanza. Harold si precipita nel proprio appartamento e s’imbatte nel suo sosia che gli dice: “Io sono te. Tu sei morto quel giorno sul tavolo operatorio, e per alcuni attimi sei morto sul serio: questo mi ha permesso di uscire; solo che, purtroppo, tu hai ricominciato a vivere. Adesso siamo in due e non può andare avanti così. Uno di noi due deve andarsene”. Harold, terrorizzato da quella visione, scappa e dopo un lungo inseguimento del suo sosia s’inabissa con l’auto nel Tamigi. Un attimo dopo il suo sosia ha un malore, ma si riprende poi brillantemente.
Pellicola diretta da uno dei geni del fantasy inglese e già autore del primo episodio del cult Incubi notturni, diretto a più mani nel 1945. Il film è una piccola perla del genere anche se girato con uno stile, prettamente inglese, troppo algido e freddo. Dearden impagina la storia perturbante del sosia che perseguita il povero Harold e più che percorrere gli stilemi del fantasy, dona alla vicenda un taglio profondamente psicoanalitico. Come ha felicemente intuito lo psichiatra che compare sulla scena, il sosia di Harold non è altro che la sua parte repressa che, esplosa, si permette svaghi, lussi, auto sportiva e una scappatella extraconiugale che il rigido e incorruttibile Harold, con tanto di ombrello e bombetta, non si sarebbe mai potuto concedere. Toccante le scene di Harold smarrito che alle persone che incontra chiede: “Ha notato qualcosa di strano, di insolito in me?”. Dal romanzo The case of Mr Pelham di Anthony Armstrong.
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