Lupo solitario (The Indian Runner) di Sean Penn – USA -1991- Durata 126’

24 Gennaio 2020 | Di Ignazio Senatore
Lupo solitario (The Indian Runner) di Sean Penn – USA -1991- Durata 126’
Schede Film e commento critico di Ignazio Senatore
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Reduce dal Vietnam, Frank Roberts (Viggo Mortensen) torna a Plattsmouth, una piccola cittadina agricola del Nebraska dove vive Joe (David Morse), il fratello poliziotto, sposato con Maria (Valeria Golino) e padre del piccolo Raphael. Ribelle, cane sciolto senza collare, Frank invece di fare un salto a casa del padre (Charles Bronson) e della madre (Sandy Dennis), il giorno stesso salta su un treno e rispunta all’orizzonte dopo sei mesi. Violento, rissoso ed attaccabrighe si mette sempre nei pasticci, fino a scontare qualche mese in galera. Dopo la morte della madre e del padre suicida, Joe intuisce che deve prendersi cura del fratello e lo accoglie, amorevolmente, a casa con Dorothy (Patricia Arquette), la sua donna in dolce attesa. Ma Frank è sempre più irrequieto, rabbioso ed insoddisfatto ed il giorno in cui Dortohy sta dando alla luce il bambino, si rifugia in un bar e, dopo aver scolato litri di whisky, completamente ubriaco, uccide Caesar (Dennis Hopper) il gestore del locale. Joe è costretto ad inseguirlo per arrestarlo e, giunto al confine, deve decidere se compiere il proprio dovere o farlo fuggire.

Sean Penn, al debutto alla regia, dedica il film alla memoria di Hal Ashby, Frank Bianco e John Cassavetes, s’ispira alla canzone Highway Patrolman di Bruce Springsteen ed impagina una pellicola, senza grandi guizzi, che si snoda sulla doppia scia dell’eterna lotta tra Caino ed Abele e della parabola del Figliol Prodigo. In maniera scolastica e convenzionale, Penn contrappone Joe, un uomo tranquillo, tutto casa e lavoro, roso dai sensi di colpa per aver ucciso un tempo un fuorilegge, all’irrequieto, aggressivo e ruvido Frank. Il regista non scava a fondo sulle ragioni che spingono Frank ad attaccare così massicciamente affetti e legami e ad isolarsi sempre più in un proprio mondo fatto di rancore e di rabbia. Sul finale, dipingendolo come un lupo solitario che non s’intenerisce nemmeno di fronte alla nascita del primogenito, preme un po’ troppo il piede sull’acceleratore e lascia insoluti dubbi e perplessità. Per alleggerire la narrazione il regista inserisce dei flashback in bianco e nero che mostrano i due protagonisti che, da bambini, giocavano felici. Accattivante la colonna sonora.

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