Ignazio Senatore intervista Margarethe Von Trotta

14 Dicembre 2014 | Di Ignazio Senatore
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La giuria internazionale del Premio “Ravello CineMusic 2004”, presieduta da Dino Risi, ha assegnato il premio per la migliore colonna sonora europea al suo film “Rosenstrasse”.

Margarethe Von Trotta, donna colta, elegante ed esponente di rango della cultura mitteleuropea è raggiante per questo riconoscimento. Spiritosa ed allegra, in un batter d’occhio, si lascia andare ad un vecchio ricordo “rimosso” di qualche anno fa.

“Sono stata a Sorrento negli Anni Settanta. Fassbinder stava girando “Attenti alla puttana santa”. Al tempo facevo l’attrice ed avevo in quel film una parrucca nera. Era il periodo del colera e tutti noi mangiammo al ristorante dei frutti di mare. Rainer decise di fare una panoramica a 360 gradi e di riprendere gli attori nella hall di un albergo. Ma ognuno di noi, per i mal di pancia correva a turno nella toilette e lui ci mise delle ore per girare quella scena. Rainer era un uomo talmente complesso, geniale, contraddittorio. Era anche molto geloso e quando seppe che mi ero sposata con il regista Volker Schlondorff, mi disse che, da quel momento in poi, non avrei più recitato con lui.”

Nell’arco di circa trent’anni, Margharete ha girato solo pellicole declinate al femminile ed il discorso, “inevitabilmente” scivola sull’attuale condizione femminile.

“Le giovani donne di adesso sono molto più attente a quelle che vogliono e che possono chiedere. Noi abbiamo gridato, lottato, protestato. Ai nostri giorni, le donne non lo debbono più fare, non hanno più bisogno di gridare perché hanno già raggiunto delle cose. La storia è diventata però più brutale e si dovrebbe lottare di più per le condizioni delle donne in Iraq e non occuparsi solo delle condizioni “alienate” delle donne europee.”

Non si definisce “regista militante” e s’intuisce che questa etichetta, che si porta addosso da anni, le va un po’ stretta. 

“Il termine militante mi rimanda ad una persona che ha sempre un coltello tra i denti, ed io così non lo sono mai stata. Questo termine lo trovo poi anche molto riduttivo. Nei miei film c’è l’aspetto politico, c’è l’attenzione al femminile ma anche altro e molto di più. Un esempio? Uno dei miei film più noti lo girai nel 1981 ed è “Anni di piombo”. Il titolo l’ho preso da una pagina di Friederick Holderlin e recitava più o meno così: “E’ come se fossimo negli anni di piombo…” e rimandava ad un concetto molto più vasto e poetico. Era un riferimento ambiguo e parlava di due cose: degli anni del terrorismo ma anche di quella cappa plumbea e pesante che si respirava in Germania all’epoca del post-nazismo. In Italia quest’espressione è stata ridotta solo alle pallottole ed al periodo del terrorismo.”

La critica non è mai stata troppo tenera con lei e l’ha tacciata spesso di confezionare film intensi ma troppo borghesi, cerebrali e calligrafici. Noncurante dei giudizi negativi, Von Trotta è sempre andata dritta avanti per la sua strada. Il suo ultimo film è “L’altra donna”, presentato all’ultimo Festival di Taormina ed interpretato dalla sua attrice simbolo Barbara Sukowa (ha recitato in precedenza con lei in “Anni di piombo”, “Rosa L.” e “L’africana”). La storia narra di un uomo, sposato sia con una donna della Germania dell’Est che con una dell’Ovest. In realtà lui è un Mata Hari al femminile che seduce una segretaria che vive a Bonn per carpire informazioni segrete. Le due donne, all’inizio del film sono nemiche ma poi diventano solidali.

“Sto già scrivendo un nuovo soggetto e mi avvarrò dell’aiuto di Peter Marthesheimer, sceneggiatore degli script di “Veronica Voss”, “Lola” ed Il matrimonio di Maria Braun” di Fassbinder. La vicenda ruoterà intorno alla figura di Hannah Arendt, una filosofa allieva di Heidegger che essendo ebrea fu costretta, al tempo del nazismo, ad emigrare dalla Germania in America.”

Quando le chiedo un parere sulle sue colleghe registe glissa sulla Cavani e la Champion ma profonde elogi sperticati alla Wertmuller.

“In Germania è adorata per il suo stile molto personale, per le sue commedie sarcastiche e dure. La Wertmuller ha uno stile molto personale e speciale e nessuno è riuscito mai a valorizzarla

La prova dell’indissolubile affinità tra le due registe? “Le contraddizioni tra le forme di vita esistenti e la felicità richiesta alla propria vita diventano certe volte insopportabili” è il sottotitolo che la Von Trotta diede a “Secondo risveglio di Christa Klages”, il suo primo film. La chilometrica lunghezza del sottotitolo non vi ricorda, forse, qualcosa?

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