Nel corso di una riunione di lavoro, Alessandro Benini (Corso Salani), giovane manager, riceve la telefonata della madre che gli comunica che Alfonso, il padre partito venti anni prima in Kenya e del quale non ha più avuto notizie, è morto.
Accompagnato da Irene (Anna Falchi), la fidanzata, Alessandro vola a Malindi, cittadina sull’Oceano Indiano, e assiste alla funzione religiosa, officiata da Don Secondino (Tony Sperandeo), un missionario anticonformista e combattivo, che, nel corso del funerale, tesse le lodi di Alfonso, descritto come buono e generoso.
Alessandro scopre che il padre è morto in un incidente di volo con il suo aereo privato perché la pista d’atterraggio non era illuminata e si reca al commissariato. locale per raccogliere informazioni.
Il funzionario gli comunica che sta indagando e gli rivela che Alfonso, pur possedendo una villa da favola e delle piantagioni, era pieno di debiti e, in attesa che siano ripianati, gli ritira il passaporto.
Alessandro, un giovane fin troppo perbene, ma senza muscoli e spina dorsale, raccoglie degli elementi che lo riconducono a Fulvio Colombo, socio del padre, un faccendiere senza scrupoli, ammanigliato con i poliziotti locali e con gli altri affaristi italiani, che vivono in quella sorta di Paradiso terrestre, e non osano ribellarsi al suo potere dispotico e arrogante.
Con un pretesto, Alessandro è arrestato e, a tirarlo fuori da galera, è proprio Colombo, che, dopo avergli confermato che Alfonso era pieno di debiti e che la villa, ipotecata, di fatto, é diventata di sua proprietà, gli gironzola sempre più assiduamente intorno.
Alessandro, dopo aver provato debolmente a prendere le distanze, lo segue, passivamente, come un cagnolino, vuoi perché è attratto dal suo modo di fare guascone e travolgente, vuoi perché cerca di scoprire qualche elemento che chiarisca la situazione finanziaria.
Intanto Colombo, con la complicità di un avvocato, suo amico, continua a far rinviare la causa che vede Alessandro in veste di imputato e, deciso ad ottenere a tutti i costi la sua amicizia, lo invita a una festa organizzata a casa sua, dove sono presenti, tra gli altri, il corrotto onorevole Sparafico (Gianfranco Barra) e un vescovo (Ivo Garrani) senza scrupoli.
Intanto la colonia italiana di Malindi, composta da vari intrallazzatori, che hanno fatto affari grazie alla scaltrezza e al cinismo di Colombo, prova, invano, a ribellarsi al suo strapotere.
Colombo piomba nel bel mezzo della loro riunione e, senza peli sulla lingua, rinfaccia ad ognuno di averli aiutati nei moment di bisogno, di aver favorito i loro traffici e, prima di andar via, confessa ad uno dei presenti di “aver fatto il salto della triglia” ed essere andato a letto prima con sua moglie e poi con sua figlia.
Irene riparte per l’Italia e Alessandro, dopo aver fatto visita a Francesca (Cinzia Monreale), che aveva una relazione con Alfonso, intuisce che potrà lasciare il Kenia solo quando avrà firmato la cessione dei suoi beni a Colombo. Prima di partire, Colombo gli mostra delle rovine di un’antica città, ma é morso da un serpente mamba e, dopo qualche istante, muore.
Risi all’ottava regia, abbandona i film di denuncia, di taglio politico- sociale (Mery per sempre, Ragazzi fuori, Il muro di gomma) e confeziona una commedia grottesca, agrodolce, che ruota intorno alla figura del cinico, spaccone e cialtrone Fulvio Colombo.
Nelle intenzioni del regista milanese, il personaggio, interpretato da un irresistibile Diego Abatantuono dovrebbe racchiudere i vizi italici. Non solo è un imprenditore corrotto e ospregiudicato, che ha costruito un impero economico, ma é una specie di ras temuto e rispettato anche dai poliziotti e dagli abitanti locali.
Dietro la sua esuberanza fisica e verbale, Risi lascia intendere che Colombo sia un uomo alla ricerca di un’amicizia vera, che non nutri solo il suo narcisismo smisurato, ma che lo riempia di emozioni genuine.
La sua scelta ricade, non a caso, sul timido, impacciato e sprovveduto Alessandro Benini, un manager bravo a brevettare sofisticati sistemi fonetici per il telefono ma completamente a digiuno su come affrontare le asprezze e le insidie del mondo.
Di fronte a uno squalo come Colombo, Benini prova dapprima ad arginarlo, ma, invece di affilare denti e unghie, dopo le prime battute, soccombe, consegnandosi, di fatto, a lui e finendo per regalargli villa e piantagioni.
Per tutto il film Benini veste i panni dello sconfitto e di chi non può fare altro che assecondare, passivamente, i desideri dell’odiato (?) Colombo.
Nel corso della narrazione si aspetta, invano, un suo colpo di reni, un coniglio che sbuchi fuori da un cilindro, un gancio in pieno volto che spiazzi e mandi al tappeto un uomo scaltro e navigato come Colombo.
Ma la tanto attesa trasformazione di un personaggio così esageratamente schiacciato dal vulcanico antagonista non avviene e Benini ritornerà in Italia sconfitto e con la coda tra le gambe, anche se, nel finale zuccheroso, riuscirà a salvare il terreno dove ha sede la comunità di Don Secondino.
Risi esagera nel forzare le contrapposizioni tra i due protagonisti fino a trasformarli in caricature; troppo piatto e incolore Benini, eccessivamente sopra le righe Colombo, seduttore sbruffone, di fronte al quale tutte le donne cadano ai suoi piedi.
Non pago, Risi schiaccia troppo l’acceleratore nel mostrare l’immancabile monsignore che, a caccia di popolarità, battezza un undicenne già battezzato e invia poi in quel villaggio assolato che viaggia a temperature oltre i quaranta gradi all’ombra, moon but e altri capi di vestiario adatti a località invernali e sciistiche.
Il personaggio più centrato è senza dubbio quello di Don Secondino, interpretato da un convincente Toni Sperandeo, l’unica anima candida e pura, che si batte per migliorare le condizioni di povertà dei bambini che vivono in quella terra dimenticata da Dio e che lancia strali contro la corruzione e l’insipienza di vescovi e delle alte sfere della Chiesa.
Il personaggio di Irene è, invece, alquanto sfuocato e Risi regala alla fulgida e avvenente Anna Falchi, all’esordio, solo qualche battuta, l’immancabile scena di (seno) nudo e, ammiccando spudoratamente alla sua statuaria bellezza, scatena l’infantile gelosia di Alessandro.
Fortunatamente, Risi, coadiuvato in sede di sceneggiatura da Andrea Purgatori (che compare nella prima scena quando Alessandro illustra il suo brevetto), evita che la sensuale Irene resti impigliata nella rete seduttiva dell’irresistibile (?) Colombo che, in verità, per tutto il film, come ogni classico galletto italico, le lancia delle ìnequivocabili occhiate.
Ma a ben vedere, forse, i veri protagonisti della pellicola sono gli sconfinati, incontaminati e lussureggianti paesaggi africani che, secondo i progetti di Colombo, dovrebbero essere cancellati da colate di cemento.
Con questo film Risi rimpolpa i pochi film italici ambientati nel bel mezzo di villaggi africani.
Non siamo però dalle parti di Riusciranno i nostri eroi a ritrovare l’amico misteriosamente scomparso in Africa di Ettore Scola (1968), Finchè c’è guerra c’è speranza di Alberto Sordi (1974), Africa express di Michele Lupo(1975), Emunaelle nera di Bitto Albertini (1976),, Io sto con gli ippopotami di Italo Zingarelli (1979), Quo vado di Checco Zalone (2016) e di Contromano di Antonio Albanese (2018).
In verità, anche il regista milanese, come gli altri colleghi, non si sottrae alle tentazioni turistiche- documentaristiche e il suo sguardo è sempre quello di un occidentale “colonialista” che non resiste alla tentazione di filmare i bambini neri perennemente felici e sorridenti.
L’acquisizione improvvisa e inaspettata di un’eredità, che è il motore da cui nasce il film, diventerà una macchina narrativa ripresa in altri film italici; tra questi Il bagno turco- Hamam di Ferzan Ozpetek (1997), e Colpo di luna di Alberto Simone (1995).
Il regista milanese s’affida a una regia “scolastica” e banditi flashback, fronzoli ed esercizi di stile impagina un film che non ha grosse accelerazioni o colpi di scena, ma si lascia gustare egualmente fino al prevedibile finale, annunciato con quello che gli sceneggiatori americani definiscono “semina e raccogli”.
Non a caso, più volte, nel corso della narrazione c’é un riferimento al temutissimo serpente mamba che, con il suo potente veleno, ammazza un uomo permettendogli, prima di esalare l’ultimo respiro, di compiere solo sette passi.
Un plauso agli altri componenti del cast; da Luigi Maira Burruano, (che incomprensibilmente si esprime con accento napoletano) a Maurizio Mattioli, il classico burino romano in vacanza con moglie e prole, il cui figlio rimane vittima dello scippo di un Rolex (sic!), prontamente recuperato dall’implacabile Colombo. Particina per Tony Kendall.
Ottima la colonna sonora con alcune hit degli anni Sessanta; Dont play that song, Saint Troprez twist, Nun è peccato, cantate da Peppino Di Capri, I watussi, resa famosa da Eduardo Vianello, a quelle interpretate da Mina; E’ l’uomo per me e Se telefonando fino al più recente Qua qua quando di Francesco Baccini e la struggente Your song di Elton John.
Da incorniciare una versione in lingua keniota, dell’immortale Nel blu dipinto di blu cantata dai bambini del coro, diretti da Don Secondino mentre è in corso il funerale di Alfonso. Manuel De Sica con le sue musiche non lascia il segno.
Brevissimo frammento dello storico sketch di Ugo Tognazzi e Raimondo Vianello su un tronco dal quale l’attore cremonese trarrà uno stuzzicadenti.
Recensione pubblicata sul volume “Il cinema di Marco Risi” di Davide Magnisi e Lorenzo Procacci Leone, Edito da Il Foglio Letterario – 2024
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