Quarant’anni e non li dimostra. Piace ancora, infatti, “Non ci resta che piangere”. Film cult, diretto e interpretato da Massimo Triosi e Roberto Benigni, che fu trionfale campione d’incassi nel 1982.
L’idea vincente fu quella di sposare la comicità partenopea con quella toscana e unire due protagonisti assoluti dell’epica. Troisi, infatti, era reduce dai successi di “Ricomincio da tre” e “Scusate il ritardo”; Benigni aveva partecipato a trasmissioni cult in tv (come Troisi) e televisive interpretato un vari film, anche se annoverava solo la regia con “Tu mi turbi”.
Divertentissima la trama. Mario (Troisi), bidello e Saverio (Benigini), maestro elementare, fermi in auto a un passaggio a livello. Stufi di attendere, prendono una stradina laterale. L’auto va in panne e i due, a notte fonda, sotto una tempesta, raggiungono una locanda. Al risveglio, scoprono che un uomo è trafitto da una lancia. Fuggono via e, increduli, scoprono che, ripiombati nel passato, nell’anno 1942, sono a Frittole, in piena campagna toscana.
Mario non vuole mettere il naso fuori dalla locanda; Saverio, invece, più intraprendente, conosce Vitellozzo e gli chiede di lavorare nella sua macelleria. Lasciandole credere di essere un musicista, Mario fa una corte discreta alla giovane Pia. Saverio, sempre più irrequieto, convince Mario a partire per Palos allo scopo di distogliere Cristoforo Colombo a non partire per le Americhe.
Lungo il viaggio, una misteriosa ragazza dà loro la caccia. Mario e Saverio incontrano, poi, Leonardo da Vinci al quale, provano, invano, a proporre delle invenzioni. Giunti a Palos, scoprono che Colombo è già partito. Sul finale, Leonardo Da Vinci, facendo tesoro delle loro indicazioni, sfreccia su una locomotiva.
Troisi e Benigni, dopo aver scritto un canovaccio, chiamarono a sostegno, in sede di sceneggiatura, Giuseppe Bertolucci, che aveva già diretto l’attore toscano in “Berlinguer ti voglio bene”. Nonostante ci fosse una scaletta, Troisi e Benigni, da veri comici, improvvisarono sul set dialoghi e battute.
Il film non ha una sua unità e procede essenzialmente per gag e siparietti, Alcune scene sono, però, memorabili. Fulminante la risposta di Mario “Mò me lo scrivo!” rivolta al frate che gli ripete “Ricordati che devi morire!”.
O i teneri tentativi di Mario che, per espugnare il cuore di Pia, intona “Il blu dipinto di blu”, l’inno di Mameli e “Yesterday”, brano per il quale il produttore Berardi pagò una fortuna per i diritti d’autore.
Irresistibile la scena dei due protagonisti che s’imbattono in un ottuso doganiere che, a ogni loro passaggio, avanti e indietro, ripete: “Ehi, chi siete, ma cosa portate? Un fiorino.”.
Divertente anche la lettera che Mario e Saverio indirizzano a Savonarola, chiaro richiamo ai fratelli Caponi del film “Totò, Peppino, e la malafemmina.” Le scene più esilaranti sono legate all’incontro dei due comici con Leonardo Da Vinci.
L’idea vincente è quella di mostrare il geniale artista fiorentino come un tonto. Infatti, sia Mario che Saverio, dopo avergli illustrato, seppur in maniera confusa, alcune invenzioni, come il treno, il termometro e il semaforo, intuiscono che Leonardo non è un tipo sveglio. Mario, infine, si arrende quando comprende che Leonardo non ha capito le regole della scopa.
Al di là delle scene esilaranti e del titolo ironico (che rimanda a una lettera di Petrarca inviata a Barbato di Sulmona), i personaggi sono ben calibrati; a un Mario dolce, paziente e sensibile, è contrapposto un Saverio nervoso, intollerante e sempre sopra le righe,
Deliziosa Amanda Sandrelli nel ruolo di Pia, sulla quale è stato cucito addosso il personaggio di una giovane donna, che ama r1ipetere più volte lo stesso verbo -tormentone “provare, provare, provare”.
Articolo pubblicato su Il Corriere del Mezzogiorno – 15-8-2024
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