Un uomo (Jean Hughes Anglade) gira in lungo e in largo per l’India alla ricerca di Javier Xanata Pinto, un vecchio amico portoghese di cui da un anno ha perso le tracce. In un albergo di Bombay, una prostituta gli dice che Javier era una persona che si stava ammalando, che non dormiva più e che aveva un destino triste. Dopo una tappa al King Edward, l’ospedale della città, il protagonista descrive il suo amico a un amabile cardiologo: “Scriveva racconti…Diciamo che parlavano di cose non riuscite che prendevano una piega imprevista, di errori. Uno, per esempio, parla di un uomo che passa la vita a sognare un viaggio. Finalmente gli si offre l’opportunità di fare quel viaggio sennonché, proprio allora, si accorge in realtà che non ha più voglia di farlo”. Partito per Madras allo scopo di contattare un membro della Società Teosofica, l’uomo scopre che Javier è forse a Goa. Lungo il viaggio incontra un’indovina che gli dice: “Non è possibile, ma lei è qualcun altro. È semplice apparenza, non è altro che illusione. Tu non ci sei”. Dopo aver scoperto che Javier si fa chiamare Nightingale il protagonista giunge in un albergo in riva al mare dove incontra Christine (Clementine Celarie) un’affascinante fotografa, sola e a caccia di avventure, alla quale svela che l’uomo che sta cercando è se stesso.
Pellicola densa ed estremamente colta, attraversata da un senso di grossa inquietudine per il costante riferimento alla morte, all’apparenza delle cose e al divenire. “Abbiano tutti due vite; quella vera, quella che abbiamo sognato da bambini e che continuiamo a sognare da adulti, come persi nella nebbia e quella falsa, quella che viviamo, giorno dopo giorno, insieme agli altri, la vita pratica e utile, quella che ci conduce nella tomba. Abbiamo tutti due vite”. I dialoghi sono affascinanti e il regista ci propone una continua sospensione del tempo che calamita l’attenzione dello spettatore. Non mancano le citazioni letterarie (un fantomatico personaggio si fa chiamare Peter Schlemihl come l’omonimo protagonista del racconto di Chamisso) una fugace immersione nel mondo della teosofia e un assaggio dei misteri legati a una statua di Sheva e ai templi di Madras ma il pregio dell’opera è anche il suo difetto e la pellicola spesso si arena e rischia di diventare una scolastica trascrizione del capolavoro di Antonio Tabucchi da cui è tratto.
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