Louise (Alida Valli) guida un’auto nel buio della notte e si sbarazza, gettandolo in un lago, del corpo senza vita di una ragazza.
Intanto, il noto chirurgo plastico, il professor Cristian Génessier (Pierre Brasseur), in una conferenza sta relazionando sul tema: “Gli sviluppi recenti della chirurgia plastica in tema di trapianto cutaneo”.
Al termine dell’intervento, il luminare si reca all’obitorio e, dominando le proprie emozioni, con lucida freddezza, conferma alla polizia che il corpo ritrovato è quello della figlia.
Successivamente la mdp ci mostra, distesa su un letto, una ragazza che piange e si dispera; è Christiane (Edith Scob), la figlia del professore, rimasta gravemente sfigurata a seguito di un incidente d’auto, provocato dalla guida spericolata del padre, e costretta a girare per casa con una maschera bianca di cera che le cela il volto.
Rientrato a casa, il professore comunica a Christiane di aver mentito alla polizia al solo scopo di poterle ridare una nuova identità e la rassicura, dicendole che con il prossimo trapianto cutaneo avrebbe riacquistato la bellezza perduta.
Louise, intanto, continua ad adescare giovani studentesse che assomigliano a Christiane e le conduce nella villa del professore che, dopo averle anestetizzate, preleva l’epidermide dal loro viso e lo trapianta alla figlia. Dopo vari tentativi, l’esperimento sembra finalmente riuscito.
Christiane è finalmente libera e può gettar via la maschera. Dopo alcuni giorni, iniziano però a comparire sul suo volto le prime tracce della necrosi tessutale.
Impazzita, libera Edna, l’ennesima ragazza sequestrata e…
Cult-movie del cinema horror, poetico e venato da una profonda melanconia, diretto da un regista (La fossa dei disperati, Il delitto di Therese Desqueyroux, L’uomo in nero…) che ripropone l’ennesima figura del mad-doctor che, seppure cinica e diabolica, non può che non commuovere lo spettatore.
Divenuto ormai vedovo, corroso dai sensi di colpa, cerca di riparare al danno provocato alla figlia con i suoi disperati ed infruttuosi innesti cutanei.
Christiane, dal canto suo, è una ragazza infelice, vittima di un destino crudele, costretta ad aggirarsi, in una casa, priva di specchi e superfici riflettenti; Louise, infine, è anche lei vittima del destino: rapisce le ragazze solo per poter ringraziare il professore che le aveva ridato un volto, precedentemente sfigurato.
Rispetto al romanzo di Jean Redon, adattato da Boileau-Narcejac e Claude Sautet, il regista opera delle sostanziali variazioni; il dottore non appare come un ubriacone e al posto dell’assistente che abusava delle vittime crea il personaggio perverso, ma meno mostruoso di Louise.
Franju muta anche il finale; nel romanzo, infatti, il chirurgo è scoperto ed arrestato e la figlia si suicidava di fronte al padre in manette. Il bianco e nero, caldo e vellutato, impreziosisce, ancora più la pellicola.
Da segnalare camei di Claude Brasseur e Juliette Mayniel. Suggestiva la colonna sonora di Maurice Jarre.
Il film vanta due tentativi d’imitazione: Seddock, l’erede di Satana, per la regia di Anton Giulio Majano, firmata con lo pseudonimo di Richard McNamara (1960) e Il diabolico dottor Satana diretto da Jesus Franco (1962).
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