Claudia Draper (Barbra Streisand), prostituta d’alto bordo, uccide, per legittima difesa, Allen Green (Leslie Nielsen), un cliente violento e meschino.
Per evitare lo scandalo, la madre Rose Kirk (Maureen Stapleton) e il patrigno Arthur (Karl Malden) si rivolgono a un avvocato che dimostri che la figlia è pazza, incapace di presenziare al processo e che si batta affinchè sia internata in manicomio.
Claudia vuole, invece, partecipare al dibattimento e, pur di raggiungere lo scopo, urla, strepita e assale in aula l’avvocato difensore che batte in ritirata.
Il giudice è costretto a nominare come difensore d’ufficio Aaron Levinsky (Richard Dreyfuss), un avvocato testardo che, superate le iniziali diffidenze dell’imputata, convince il giudice che la sua cliente è sana di mente.
Martin Ritt (La lunga estate calda, Hud il selvaggio, La spia che venne dal freddo, Il prestanome, Norma Rae…) traspone sul grande schermo una pièce di Ton Topor.
La pellicola si nutre della recitazione sopra le righe della Streisand che, sin dalle prime battute, occupa in maniera ingombrante la scena.
Per tutta la durata del dibattimento, Claudia rivolge battute sprezzanti verso il giudice e gli avvocati, interrompe continuamente il processo e, mostrandosi ostile, odiosa e aggressiva verso chiunque le capiti a tiro.
Aaron Levinsky, intuito che dietro la sua oppositività, si nasconde una donna che si batte per la difesa dei propri diritti, dopo averle tenuto testa, scardina le sue difese e a ottiene la sua collaborazione.
Non bastano alcune virate patetiche (Claudia era stata vittima da bambina degli abusi dal patrigno) per dare forza e vigore ad un film verboso che si svolge completamente all’interno dell’aula del tribunale.
Nel corso del processo, Claudia veste i panni della mangiatrice di uomini, si rivolge al pu1bblico ministero e gli dice: “Le porto il corpo in paradiso e l’anima all’inferno”, ma nonostante i suoi sforzi il suo personaggio non seduce lo spettatore e la vicenda si trascina stancamente fino al prevedibile epilogo.
Ma il film è anche un duro attacco alla psichiatria.
Nei a parte, il film è anche un duro attacco alla psichiatria e, nella vicenda compare il dottor H.A. Morrison (Eli Wallach), psichiatra del carcere, che la riempie di psicofarmaci, convinto, erroneamente, che sia un soggetto paranoide, incapace di stare in giudizio, di comprendere le accuse che le sono state rivolte e di collaborare alla propria difesa.
Psichiatra bollito e frustrato, l’anziano Morrison è descritto come un medico abituato a gestire il proprio potere all’interno del carcere ed a relazionarsi con pazienti passivi e remissivi che non si oppongono alle sue decisioni; di fronte al comportamento ribelle dell’imputata, si smarrisce, va in crisi e dopo il processo è destituito dal suo incarico.
Colonna sonora composta dalla stessa attrice/regista. Da una pièce di Ton Topor.
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