Carl Gustav Jung (Iain Glen) ha in cura la giovane Sabina Spielrein (Emilia Fox) una giovane ebrea appartenente ad una ricca e colta famiglia russa. Nel corso del ricovero, attratto dalla sua fragilità, grazie al metodo delle libere associazioni, prova a scardinare le sue difese. Jung trascura la moglie Emma (Jane Alexander) e diventa l’amante di Sabina che migliora a vista d’occhio, relaziona con gli altri ricoverati e riprende a mangiare regolarmente. Jung continua a frequentare Sabina anche dopo la sua dimissione dall’ospedale ma, temendo che la scandalosa relazione extraconiugale possa compromettergli la carriera, l’allontana. Sabina, avendo compreso l’impossibilità di legarlo a sé, abbandona il campo e, con il passare degli anni, si laurea in medicina, si specializza in psicoterapia e, dopo essersi sposata, apre l’Asilo Bianco, il primo asilo per bambini ad orientamento psicoanalitico. Ma la repressione stalinista mette al bando la psicoanalisi e Sabina è costretta a rifugiarsi a Rostov, sua città d’origine. I titoli di coda ci informano che Sabina fu uccisa nel 1942 dai nazisti insieme con la figlia Renate.
Sospeso tra fiction e documentario, il film è basato sul carteggio segreto tra Jung, Freud e Spirlein, trovato casualmente nel 1977, a Ginevra, negli scantinati del Palais Wilson, sede dell’Istituto di Psicologia svizzero. Faenza mette in scena la tormentata storia d’amore tra il giovane Jung (allora trentenne) e Sabina Spierlein ma, più che impaginare un film sulla psicoanalisi, sembra proporre un viaggio nella passione amorosa e sulla sua disperata rinuncia. Sabina è descritta come una donna deprivata affettivamente sin da bambina, vittima di un padre violento che la picchiava continuamente. Fragile ma solare, tenace e volitiva, sin dalle prime battute, mostra una grande forza d’animo e riesce a relegare in soffitta i propri fantasmi. Al confronto Jung appare un uomo più fragile, meschino e tormentato di lei che, cinicamente, sacrifica l’amore in nome del decoro borghese e del prestigio scientifico.
Faenza è attento alla ricostruzione storica del tempo e ci mostra Sabina, dopo aver tentato il suicidio, legata ad un letto di contenzione con un casco che le cinge la testa e le impedisce di parlare. Non mancano i momenti di grande impatto emotivo; su tutti il ballo tra Sabina e Jung all’interno del manicomio e la scena di Sabina che affida il proprio testamento al dottor Jung e gli chiede che sulla propria lapide venga scritta la frase: “Anch’io sono stata un essere umano”. Il regista arricchisce la vicenda lasciando che la giovane Marie (Caroline Ducev) lontana parente di Sabina, si rechi da Parigi in Russia per cercare documenti sulla vita di Sabina ed è aiutata nel suo peregrinare tra archivi da Richard Fraser (Craig Ferguson) uno storico che insegna all’Università di Glasgow.
Questo sito utilizza strumenti di raccolta dei dati, come i Cookie. Questo sito utilizza Cookie tecnici e di terze parti per fornire alcuni servizi. Maggiori Informazioni
Questo sito utilizza i cookie per fonire la migliore esperienza di navigazione possibile. Continuando a utilizzare questo sito senza modificare le impostazioni dei cookie o clicchi su "Accetta" permetti al loro utilizzo.