Contea di Birchfield, Washington. Dopo aver litigato con il ragazzo, Sarah Tobias (Jodie Foster), giovane cameriera, entra in un locale con Sally (Ann Hearn), l’amica del cuore, beve qualche birra, balla al ritmo di una canzone e attira le attenzioni di Kurt (Kim Kondrashoff), Danny (Woody Brown), Bob (Steve Antin), che la violentano, a turno su un flipper tra gli incitamenti eccitati, le urla e gli applausi degli amici.
Kenneth (Bernie Coulson), un ragazzo presente allo stupro, telefona alla polizia, ma le forze dell’ordine non intervengono.
Katheryn Murphy (Kelly McGillis), vice procuratore distrettuale, investita del caso, raggiunge un accordo con gli avvocati che difendono i tre violentatori e patteggia con loro una pena minore, che esclude per i loro assistiti il reato di stupro.
Profondamente delusa, Sarah accusa Katheryn di averla tradita, rompe con il fidanzato e va in crisi. Katheryn allora comprende che deve andare fino in fondo e accusa chi era presente quella sera nel pub e incitava i tre a violentare Sarah, d’istigazione allo stupro.
Chiamata in aula come testimone, Sarah è costretta a raccontare ai giurati quella serata da incubo.
Come prevedibile, gli avvocati difensori dei violentatori sposano la tesi che lei, con il suo comportamento disinvolto e spregiudicato, non solo ha provocato i loro assistiti, ma era, addirittura, consenziente. Ma Katheryn ha forse un’altra carta da giocare…
Kaplan (Legami di famiglia, Due sconosciuti, un destino, Bad girls…) s’ispira ad un fatto realmente accaduto e, sposando i toni del classico legal thriller americano, ha come principale merito quello di aver affrontato lo spinoso tema delle violenze sessuali sulle donne, per anni un vero e proprio tabù per il cinema.
I dialoghi sono abbastanza banali e convenzionali, il ritmo langue per gran parte della vicenda, ma esplode quando il regista mostra, in maniera cruda, straziante e disturbante, la scena dello stupro di gruppo, accompagnato dall’incitamento animalesco e scurrile degli uomini presenti nel locale.
Il regista, intelligentemente, non affida il ruolo della protagonista a un’attrice attraente e sensuale, ma alla Foster, la classica ragazzina della porta accanto, alla quale dona, nella seconda parte della vicenda, un look più ordinario e meno provocante e aggressivo rispetto a quello delle battute iniziali.
Intelligentemente, però, il regista lascia che Sarah, sia vestita proprio come un’adolescente della sua età.
Questa sua scelta è una sorta di proclama e vuole sottolineare il diritto delle donne di poter vestirsi a loro piacimento e di non dover castigarsi come fossero monache, per evitare di “stuzzicare” i focosi maschietti.
Cifre stilistiche a parte, ancora oggi il film resta uno dei migliori film di denuncia sulla violenza sulle donne.
A fare da contro-altare alla tenera e sbandata protagonista, l’elegante, ma algida e impenetrabile Kelly McGillis.
Oscar e David di Donatello come migliore attrice a Jodie Foster.
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