Leila Murray (Molly Parker) lavora alla reception di un alberghetto di Suspicious River, una piccola cittadina del Canada. Il suo matrimonio con Rick (Joe Bissonette) è andato a rotoli e lei, per ammazzare il tempo, si offre agli sporadici clienti che frequentano il motel, per un prezzo equivalente a quello del costo della camera. Un giorno si presenta all’albergo Gary (Callum Keith Rennie) un play-boy da strapazzo, meschino e senza scrupoli che condisce la prestazione sessuale con calci e pugni. Leila è molto turbata ma il mattino seguente l’uomo le chiede scusa, le fa un paio di complimenti e riprende a ronzarle intorno. Leila continua nelle sue scorribande sessuali ma incappa in un altro cliente violento che la riempie di lividi e di botte. Sempre più attratta da Gary quando scopre che è al verde, trafuga l’incasso del motel, gli regala i propri risparmi e fugge via con lui. Ma Gary la tratta solo come una prostituta e le chiede sempre più spesso di andare a letto con degli sconosciuti. Dopo una notte d’inferno dove, con l’assenso di Gary, è picchiata e ferita da un branco di sconosciuti, Leila trova la forza per scappare e lasciarsi alle spalle il suo cinico protettore.
A Lynne Stopkewich non basta riproporre sullo schermo l’intensa e diafana Molly Parker per replicare i fasti di Kissed, la sua inquietante e poetica pellicola precedente. La lenta ed inarrestabile discesa negli inferi di Leila è descritta in maniera piatta ed incolore, con il solito passato triste alle spalle; la madre morta quando aveva otto anni ed il padre deceduto l’anno prima per infarto. Senza regalarle uno straccio di riflessione che giustifichi la sua scelta autodistruttiva, la regista ci mostra la protagonista mentre salta da un letto ad un altro di uno sconosciuto. Le scene erotiche sono (quasi) tutte fuori campo e la regista impagina un film così casto che potrebbe essere proiettato in una sala parrocchiale. Creatura semplice, sola e molto povera da un punto di vista affettivo alla collega della reception che le chiede perché si prostituisce, risponde con un laconico: “Non riesco a smettere”. Il film scorre monotono come il fiume che è vicino al piccolo alberghetto e la protagonista, incapace di dare una svolta alla propria vita si difende dalle angherie e dalle percosse subite, ripetendo a se stessa:“Non si può fare del male a chi non sente dolore”. Dal romanzo di Laura Kasishke.
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