Ti ho visto uccidere di Roy Rowland – 1954

12 Agosto 2015 | Di Ignazio Senatore
Ti ho visto uccidere di Roy Rowland – 1954
Schede Film e commento critico di Ignazio Senatore
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Cheryl Draper (Barbara Stanwyck), una disegnatrice di moda, vede dal proprio appartamento un uomo di mezza etˆ, Albert Richter (George Sanders), che sta strangolando una prostituta. Ma la polizia non le crede e dopo essere stata scambiata per una folle visionaria è ricoverata in osservazione in un reparto per malattie nervose. Fortuna che Larry (Gary Merrill), un poliziotto si innamora di lei, crede alla sua versione e smaschera l’assassino.

Come ne La finestra sul cortile, film diretto nello stesso anno da Alfred Hitchcock, la vicenda si snoda da un omicidio che un dirimpettaio scorge, per caso, dalla finestra di casa. E se Hitchock sceglie una narrazione ironica e fluida e l’immerge in un colore spettacolare per l’epoca, Rowland predilige i toni drammatici e cupi e un bianco e nero da favola. Più che allo svelamento dell’intrigo, il regista punta a tratteggiare la diabolica figura dell’assassino che non si limita a sconfessare le accuse mosse dalla sua accusatrice, ma passa all’azione. Dotato di un’astuzia senza pari, Albert s’introduce nell’appartamento della donna, ruba la sua macchina da scrivere e spedisce a se stesso una serie di lettere minatorie, lasciando credere alla polizia di essere vittima di una donna completamente folle. Raggiunto il suo scopo, dopo che Cheryl sarà dimessa, le svela in maniera cinica e spietata di essere stato l’autore del delitto. “Lo confesso perché non ho niente da temere da parte sua; lei è pazza. Così è scritto nei registri della polizia e nel referto dell’ospedale. Qualunque cosa lei possa dire circa la mia confessione non farebbe altro che confermare questa diagnosi, lei ha la mania di persecuzione, rischia di finire in un manicomio”.

Rowland evita di proporre il solito stereotipo del folle criminale violento e assetato di sangue e tratteggia invece Richter come una persona distinta, elegante e dotata di un incredibile self-control. Da incubo le scene di Cheryl in manicomio, con la classiche schizofreniche indementite che si azzuffano tra loro. L’unica ricoverata che sembra ancora lucida e presente a se stessa regalerà a Cheryl un indicativo e prezioso consiglio: “Parla meno che puoi con il dottore e dagli sempre ragione, altrimenti un bel giorno ti trovi al manicomio”. Il colloquio con lo psichiatra è infatti da incorniciare. Cheryl inizialmente spera che il dottore creda alla sua versione dei fatti, ma dopo aver dovuto rispondere a un paio di domande di un’ottusità strabiliante, comprende che è preferibile fingere, ritrattare tutto e dichiarare che la sera del delitto si era confusa.

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