Tutto il mio folle amore di Gabriele Salvatores – Italia – 2019 – Durata 97’

9 Luglio 2022 | Di Ignazio Senatore

Willy (Claudio Santamaria), “il Domenico Modugno della Dalmazia”, dopo aver cantato in una festa di piazza il brano Vincent di Don McLean, sente l’improvvisa urgenza di conoscere Vincent (Giulio Pranno), il figlio sedicenne che non ha mai visto e che vive con la madre Elena (Valeria Golino) e con Mario (Diego Abatantuono), l’uomo che lo ha adottato. Willy scopre che Vincent non è come lo immaginava e intuisce che ha dei gravi problemi psichici.

Il ragazzo però si nasconde nell’auto del  padre e parte insieme a lui, all’insaputa di quest’ultimo. Seguendo le tappe dei concerti, inseguiti da Elena e Mario, che vogliono riportare il ragazzo a casa, padre e figlio viaggeranno attraverso la Slovenia e la Croazia. Sarà l’occasione per conoscersi e guardarsi (finalmente) negli occhi.

In questo road-movie picaresco, a tratti commovente, Salvatores ritorna al cinema delle sue origini (Marrakech Express, Turnè, Puerto Escondido…) e tratta il tema della disabilità con grande tenerezza e delicatezza, senza scivolare mai nel pietismo o nella banalizzazione della sofferenza umana.

Nel film si odono gli echi de Le chiavi di casa di Gianni Amelio ed in luogo di un figlio affetto da una disabilità fisica, (anche lui abbandonato dal padre alla nascita), il regista napoletano mette in campo Vincent affetto, invece, da un handicap psichico, sovrapponibile allo spettro autistico.

Senti Vincent, io sono strano, tu sei strano, dove andiamo?” esclama Willy nelle prime battute del film. Come risposta il figlio, ripete come una cantilena (e lo replicherà spesso nel film): “Vincent Masato, nato a Trieste il 13 luglio del 2003 da Elena Masato, adottato dal signor Mario Topoli.  Tu ti chiami Willy e sei il mio papa. Vincent bravo con papà.”

Willy, una vita da randagio senza radici, dopo aver cercato di arginare le bizze e i comportamenti esplosivi e disfunzionali di Vincent, inizia a vederlo con degli occhi “diversi” e, “allucinandolo” sempre più armonico e “adulto”, emulo di Somasky e Mulhall, protagonisti de L’ultima corvèe di Hal Ashby, cerca di promuovere la sua crescita emozionale ed affettiva, fino a gettarlo tra le braccia di una prostituta.

Nel finale (prevedibile?) tutti i personaggi del film non saranno più gli stessi di prima; Willy, scoprirà la propria vocazione paterna, Elena, madre amorevole, finirà di scrivere il romanzo al quale stava lavorando da tempo e Vincent si ritroverà con il cuore ricolmo di affetti.

L’unico, forse, a pagarne le spese sarà il pacato e concreto Mario che, pur avendo amato Vincent come un figlio, sul finale, scoprirà che, ricostruito in qualche modo il triangolo familiare, non c’è più spazio per lui.

Il titolo del film, visionario e diseguale, girato prevalentemente in esterni, prende spunto da un verso della canzone Cosa sono le nuvole di Domenico Modugno, dall’episodio Capriccio all’italiana di Pier Paolo Pasolini.

Liberamente tratto da romanzo Se ti abbraccio non aver paura di Fulvio Ervas e e a sua volta tratto dalla storia vera di Andrea e Franco Antonello, padre e figlio autistico che hanno viaggiato in moto per tre mesi tra Stati Uniti e Sud America.

Colonna sonora con brani di Modugno, e in chiusura con lo struggente Next to me di Imagine Dragons. Su tutti un ritrovato Santamaria.

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