Umberto D. di Vittorio De Sica – Italia – 1952 – Durata 89’ – B/N

4 Marzo 2020 | Di Ignazio Senatore
Umberto D. di Vittorio De Sica – Italia –  1952 – Durata 89’ – B/N
Schede Film e commento critico di Ignazio Senatore
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Umberto Domenico Ferrari. (Carlo Battisti), funzionario ministeriale in pensione, vive in una piccola stanza ammobiliata in un appartamento gestito da Antonia (Lina Gennai), la sua scorbutica padrona di casa a cui deve qualche mese d’affitto arretrato. Per ripianare il debito vende il vecchio orologio e qualche altro piccolo bene ma s’imbatte in individui senza scrupoli che tirano sul prezzo e gli danno solo pochi spiccioli. Il suo unico conforto è Flick, un cagnolino pezzato che nutre, cibandolo di nascosto, in una mensa per anziani. Per risparmiare qualche lira, si ricovera in ospedale ed affida l’amato cagnolino a Maria (Maria Pia Casilio), la serva di casa, semplice, ingenua e dal cuore d’oro. Ma la degenza è breve ed un medico, dai modi bruschi, gli comunica che deve essere dimesso il giorno successivo. Umberto ritorna a casa ma Flick è sparito e, dopo una febbrile ricerca, lo ritrova in un canile. A corto di denaro, Umberto cerca, invano, qualcuno che possa aiutarlo e prova a chiedere la carità ma il decoro e la sua dignità lo bloccano. Stanco della vita, in cambio di una discreta somma vorrebbe affidare Flick a due coniugi che dichiarano di essere amante degli animali ma che, in realtà, sono solo degli impostori. Dopo aver salutato per l’ultima volta Maria, Umberto decide di suicidarsi e, stringendo Flick tra le braccia, si incammina verso un passaggio a livello; all’arrivo dal treno il cagnolino si spaventa e se ne scappa via ed Umberto comprende che deve continuare a vivere per prendersi cura di lui.

De Sica dedica, in apertura, il film alla memoria del padre, si avvale ancora una volta in sede di sceneggiatura del grande Zavattini e nonostante il finale orienti ad un certo ottimismo, lascia l’amaro in bocca. Più che la toccante figura di un pensionato mite, educato e gentile che lotta con i denti per arrivare a fine mese, colpisce la descrizione di un’umanità arida emotivamente, incapace di aiutare chi è in difficoltà, pronta solo ad approfittare del prossimo ed a speculare sulle disavventure altrui. Nel corso della vicenda Umberto incontra amici di vecchia data, distratti e disinteressati, ed il loro andare sempre di corsa diviene il simbolo di un’umanità incapace di fermarsi anche solo per un attimo poter regalare un sorriso od una calorosa stretta di mano a qualcuno. L’unica persona con cui lega è Maria, una servetta dolce e premurosa, sola al mondo e messa incinta da un militare. Dopo aver descritto pessimisticamente un mondo dominato dalla cieca indifferenza e dal cinico egoismo, nel quale sono banditi sentimenti bontà e solidarietà, il regista non risparmia dei velati attacchi alle istituzioni religiose; Umberto è ricoverato in ospedale e vorrebbe restare un altro paio di giorni per rifocillarsi; Mimmo (Memmo Carotenuto), un altro degente, gli confida che in quell’ospedale comandano le suore e, per prolungare la degenza, deve chiedere un rosario e rendere platealmente visibile la sua volontà di voler recitare le preghiere. Mirabile l’interpretazione del protagonista, glottologo, docente dell’Università di Firenze all’esordio come attore.

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