Unspeakable di Thomas Wright con Dina Meyer, Dennis Hopper. Pavan Grover – USA – 2004 – Durata 90’

7 Dicembre 2020 | Di Ignazio Senatore
Unspeakable di Thomas Wright con Dina Meyer, Dennis Hopper. Pavan Grover – USA – 2004 – Durata 90’
Schede Film e commento critico di Ignazio Senatore
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Grazie ad una speciale apparecchiatura la psichiatra Dana Purlow (Dina Meyer) è in grado di ricostruire i ricordi e le memorie nascoste di un soggetto.. Un uomo, accusato di aver ucciso una poliziotta e, condannato alla pena di morte, è recluso in un carcere di massima sicurezza. Nel corso dei suoi  esperimenti scopre che l’uomo è innocente ma non riesce a convincere il governatore a revocare l’esecuzione. Nello stesso carcere, diretto dal perfido e cinico Warden (Dennis Hopper) è recluso Jesse Mowat (Pavan Grover) un pericoloso serial killer che viene inserito nel protocollo di ricerca della dottoressa. Lei è giovane ed inesperta e lui una creatura del Male cinica e senza scrupoli. La dottoressa resta imprigionato nella trappola che il sanguinario omicida le tende e rischia di lasciarci le penne. Il finale è cruento e carico di violenza.

Il regista prova a strizzare l’occhio a Il silenzio degli innocenti proponendoci il solito serial killer, marcio fino al midollo che, sovvertendo i classici ruoli, inizia a psicoanalizzare e a mettere a nudo la fragile personalità della dottoressa che deve sottoporlo ai test. La pellicola si nutre di luoghi comuni e ci descrive Mowat come il solito disadattato cresciuto in una famiglia disgregata, vittima di un padre violento che aveva abusato di lui. Fedele a questa stereotipata rappresentazione, nel corso del film, uno dei più fidi collaboratori della dottoressa commenta: “Se i figli non riescono a correggere i demoni dentro di loro, incapaci di fronteggiare e battere il terrore, diventano il terrore.” Mowat veste i panni del duro ed a chi gli chiede qual è la sua missione nella vita, risponde con un laconico:“Quello che posso dare agli altri è il dolore”. La dottoressa sembra un pulcino spaventato e per tutto il film, non regge al clima di esasperata violenza che circola nel carcere e reagisce disperandosi e piagnucolando come una fontana. Per fornire un alibi alla sua estrema vulnerabilità emotiva il regista si rifugia in una violenza sessuale di cui rimase vittima quando era ancora minorenne. Piccola citazione cinefilica; Mowat ha sulle nocche di un miei a mano la scritta “Love” e sull’altra Hate” come Robert Mitchum nel film La morte corre sul fiume.

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