Viridiana (Silvia Pinal), ingenua, spaesata ed ignara della cattiveria del mondo, prima di prendere i voti, per ordine della madre superiora, va a trovare lo zio Don Jaime (Fernando Rey), che ha sostenuto in tutti quegli anni il suo mantenimento. L’anziano zio s’innamora perdutamente di lei, le chiede di indossare l’abito da sposa della moglie defunta, le somministra un sonnifero, inizia a baciarla ma poi si blocca. L’indomani, per spingerla a vivere con lui, le racconta di aver fatto l’amore con lei e che, per riparare al torto, ha intenzione di sposarla. Viridiana, sconvolta, fugge e Don Jaime, sommerso dai rimorsi e dai sensi di colpa, s’impicca. Viridiana eredita i suoi beni insieme al cugino Jorge (Francisco Rabal) e decide di non ritornare più al convento, ma di restare nella casa dello zio per prendersi cura dei poveri della zona. I mendicanti affollano sempre più la loro abitazione e, approfittando dell’assenza di Jorge e di Viridiana, danno vita ad una cena luculliana, nel corso della quale gozzovigliano e si ubriacano. Quando Viridiana rientra a casa, uno dei mendicanti prova a violentarla, ma Jorge la salva. Scossa ed avvilita, finisce tra le braccia del cugino ed accetta di dividerlo con Ramona (Margherita Lozano), la sua donna.
Il settantenne regista spagnolo, di ritorno in Spagna, dopo ventiquattro anni di esilio, impagina una pellicola “scandalosa” che fu censurata dal dittatore Franco, proibita in Spagna fino al 1977, attaccata dal Vaticano e bollata dall’Osservatore Romano come “un insulto alla religione cristiana”. Le immancabili polemiche furono generate dalla sequenza che mostra la cena dei mendicanti (che richiama, spudoratamente, a quella raffigurata da Leonardo da Vinci) e da quella che consacra la definitiva crisi vocazionale della protagonista che, dopo aver scoperto che i mendicanti non sono altro che dei ladri e dei furfanti, si guarda allo specchio, si accarezza i capelli e bussa alla porta di suo cugino Jorge. Pur impaginando un film dalla narrazione tradizionale, privo di quei guizzi onirici e surreali che lo hanno reso celebre, Bunuel non rinuncia ad innaffiare la pellicola con un pizzico di feticismo (Don Jaime che si eccita calzando una scarpa femminile con un enorme tacco e prova ad indossare un corsetto femminile) e inonda la vicenda di un melanconico pessimismo sui destini dell’uomo, mettendo in campo un’umanità stracciona che si prende gioco della spiritualità della protagonista. Vincitore della Palma d’oro al Festival d Cannes 1961 ad ex aequo con L’inverno ti farà tornare di Henry Colpi. Dal romanzo Halma di Benito Perez Galdos
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