Andrà in onda il 25 gennaio, in prima serata su Rai 1, l’attesissima prima puntata de “Il commissario Ricciardi”, tratto dagli omonimi romanzi di Maurizio De Giovanni, per la regia di Alessandro D’Alatri, con Lino Guanciale protagonista.
D’Alatri, ormai sono quattro anni che tra “I bastardi di Pizzofalcone” e “Il commissario Ricciardi” vive a Napoli
“Napoli è diventata la mia città d’adozione e, con orgoglio e umiltà, dico che mi sento partenopeo.”
Ha sempre definito Napoli un “pozzo petrolifero che produce attori”
“La qualità recitativa degli attori napoletani è molto alta. In “Ricciardi” ho avuto un cast di trecentocinquanta ruolo, al 99 per cento napoletani e non ho avuto nessuna delusione anche per quanto riguardava l’ultimo attore, termine inteso nel senso di peso specifico del personaggio, quello che magari doveva solo dire “il pranzo è pronto”. Per “Ricciardi” ho fatto sei mesi di casting assieme a Massimiliano Pacifico e Adele Gallo e poi andavo a teatro a Napoli a vedere gli attori che avevo scelto per un’ulteriore conferma. Per “Ricciardi” ho fatto un lavoro di selezione da viticultore, ho scelto i grappoli migliori. E questo mi ha dato una grande soddisfazione perché poi è uscito un prodotto, dal punto di vista recitativo, di grande qualità.”
Dalle sue parole sembrerebbe che sia più soddisfatto di “Ricciardi” che de “I Bastardi”
“I bastardi” ha una sua drammaturgia ambientata nella realtà contemporanea, “Ricciardi”, invece, è ambientato negli anni Trenta, un periodo a cui sono molto legato. Ho iniziato come attore, da bambino, a recitare ne “Il Giardino dei Finzi Contini” per la regia di Vittorio De Sica, film ambientato negli anni Trenta e “Americano Rosso”, il mio primo film, era collocato in quel periodo, un’epoca che manteneva ancora intatta un’ingenuità. Era quella un’Italia che credeva ancora nella famiglia, nella religione, negli ideali, anche se contrapposti. La nostra, al confronto, è una società senza muscoli, completamente de-politicizzata, dove gli intellettuali stanno in silenzio e la famiglia è naufragata completamente. Vedere quell’epoca, viverla, raccontarla a me ha dato una grandissima soddisfazione perché allora c’era ancora un’Italia.”
Mario Martone e Sergio Rubini al cinema, ed Edoardo De Angelis sul piccolo schermo, hanno “riscoperto” Eduardo De Filippo. Lei quale testo teatrale napoletano porterebbe sul grande o sul piccolo schermo?
“Già trovo encomiabile il fatto che si riproponga, specie per i più giovani, la drammaturgia edoardiana. Personalmente mi sono avvicinato al teatro quando da bambino lo facevano in televisione ed era un teatro chiaramente fatto per la televisione, fatto in studio, con le telecamere e non ripreso in maniera teatrale. Se dovessi scegliere un testo, senza esitazione, proporrei “Uomo e galantuomo” di Eduardo, che ho già portato in teatro in giro per l’Italia per due anni, per l’interpretazione di Gianfelice Imparato. E’ un testo sacro della comicità napoletana. Ricordo che quando l’ho messo in scena, noi stessi mentre lavoravamo, non riuscivamo a fermarci per le risate. Quando lo feci a Napoli la platea ripeteva le battute.”
Se, invece, un produttore le chiedesse di girare un film su Napoli?
“Scriverei una storia d’amore ambientata a Napoli, perché Napoli è una città d’amore. Penso, ad esempio, ad un film in costume, ambientato nel Seicento o nel Settecento, e narrerei la storia passionale e tormentata tra Maria D’Avalos, moglie del madrigalista Carlo Gesualdo, e del suo amante Fabrizio Carafa. Un film ambientato in quegli anni darebbe la possibilità di parlare di San Severo, dell’esoterismo, dell’alchimia, della magia.”
Articolo pubblicato su il Corriere del Mezzogiorno – 19.1.2021
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