Che mi dici di Willy? (Longtime companion) di Norman René – USA – 1990 – Durata 96’

16 Settembre 2020 | Di Ignazio Senatore
Che mi dici di Willy? (Longtime companion) di Norman René – USA – 1990 – Durata 96’
Schede Film e commento critico di Ignazio Senatore
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David (Bruce Davison) vive una travolgente passione con Sean (Mark Lamos). L’avvocato Alan (Stephen Caffrey) soprannominato “Spino” per la folta barba ha una storia con Willy (Campbell Scott), e Howard (Patrick Cassidy), famoso attore di soap televisive ha una relazione con Paul (John Dossett).

A completare l’inossidabile gruppo di amici John (Dermot Mulroney) e Bob (Brian Cousins).

Un articolo pubblicato sul New York Times che accenna all’AIDS, una nuova  malattia che sta mietendo vittime tra i gay, i tossicodipendenti e le persone che frequentano ambienti promiscui, mette tutti in subbuglio.

In mancanza di dati scientifici, c’è chi ironizza sulla reale esistenza di questa malattia, chi è convinto che si tratta di una delle tante invenzioni della CIA, chi crede si possa contrarre per la prolungata esposizione al sole.

In questo clima di perpetua incertezza John si ammala e muore. La paura si tramuta in una drammatica realtà e, fatta eccezione per Spino e Willy, l’AIDS li falcerà ad uno ad uno.

Film dal taglio televisivo che offre una pregevole ricostruzione storica degli Anni Ottanta ed ha il merito di mettere a fuoco lo sconcerto ed il disorientamento di certi ambienti che furono, improvvisamente, investiti dal flagello dell’AIDS.

Il regista fa una chiara scelta di campo ed ambienta la vicenda nei salotti della middle class e della buona borghesia statunitense ed i giovani protagonisti sono delle persone colte, ben integrate nel tessuto sociale e lavorativo e con un passato privo di comportamenti fortemente a rischio.

Senza calcare la mano Renè ci mostra le umane sofferenze di chi sfiorisce, giorno dopo giorno, in un letto d’ospedale ed è costretto ad assistere, impotente, al lento ed inesorabile avanzare della malattia.

Il regista sceglie di sfumare troppo le loro reazioni che finiscono per apparire fin troppo composte e controllate e chiude la vicenda con un finale mieloso assolutamente da dimenticare.

I dialoghi non sono irresistibili ma colpiscono i vani e  teneri tentativi degli amici che cercano di sostenere psicologicamente chi è stato colpito dal terribile male. Il titolo originale fa riferimento ad  una formula di rito che i gay usavano nei necrologi per partecipare al lutto di un loro amico convivente.

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