Il cinema è come una torta, affermava quel genio di Alfred Hitchcock. Come tutti i cuochi sanno, però, basta un niente, vuoi nell’impasto, nella cottura o nella decorazione, che tutto va a rotoli. E’ quanto è successo a I want to be a soldier di Christian Molina, un film che aveva tutti gli ingredienti giusti per sfondare e rimanere impresso nella mente dello spettatore ma che non funziona per colpa di uno script decisamente troppo a tesi che demonizza la TV, cattiva maestra di vita di Alex (Fergus Riordan), un bambino di dieci anni, sensibile ed introverso, che sognava quando era più piccolo di fare l’astronauta e che poi, dopo aver assorbito tutta la violenza che passa dal tubo catodico, sogna di diventare un “vero” e spietato soldato dell’esercito americano.
E mentre i suoi genitori sono distratti dall’arrivo di due gemelli e non fanno caso alle bandiere con la croce celtica che Alex ha in camera, lui non trova di meglio che inventare, come amico immaginario, il rude ed inflessibile capitano Custer (Ben Temple) che gli suggerisce di comportarsi a scuola da duro, di fare il bullo e di prevaricare qualche timido ed impacciato compagno di classe. Un film che banalizza la solitudine dei bambini che diventano invisibili e trasparenti agli occhi dei genitori e che, grazie a Mamma TV, finiscono per inventarsi compagni di gioco immaginari, sadici e violenti. Prodotto (non solo) da Valeria Marini che si ritaglia un piccolissimo ruolo come professoressa di Alex.
Recensione pubblicata su Segno Cinema – N. 177 – 2012
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