Un uomo qualunque (He was a quiet man) di Frank A. Cappello – USA – 2007 – Durata 95’

19 Dicembre 2014 | Di Ignazio Senatore
Un uomo qualunque (He was a quiet man) di Frank A. Cappello – USA – 2007 – Durata 95’
Recensioni Film di Ignazio Senatore
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Bob Maconel (Christian Slater), anonimo e grigio impiegato di una grande azienda americana, stufo di subire le angherie e le prepotenze dei colleghi, decide di farne secchi cinque e di conservare il sesto proiettile per sè. In attesa del momento propizio, pavido e tentennante, rimanda giorno dopo giorno e quando è sul punto di fare esplodere la propria rabbia, Ralf Coleman (David Wells), un suo collega, lo brucia sul tempo, spara all’impazzata in ufficio, uccide un paio di impiegati e ferisce gravemente la giovane e sorridente Vanessa (Eisha Cuthbert), di cui Bob è segretamente innamorato. Per evitare che Ralf la finisca, Bob lo uccide e diventa un eroe. Il suo futuro sembra roseo ma non tutto filerà per il verso giusto.

Secondo Raymond Queneau l’Iliade, e l’Odissea sono le due forme archetipiche del racconto; da un lato il poema dell’assedio, delle battaglie, degli scontri epici tra eroi e dall’altro quello del ritorno, delle peripezie, dei viaggi, della scoperta di se stessi.

Frank A. Cappello, giovane regista italo americano, sembra prediligere l’Iliade e narra le tormentate vicende del timido ed impacciato protagonista, un anti-eroe assediato da colleghi arroganti e pugnalatori alle spalle, da giornalisti a caccia di scoop ma sopratutto dalle proprie paure, incertezze e frustrazioni. Per tutta la durata del film Bob (un Christian Slater decisamente imbruttito) veste i panni di un loser che vive da solo in una piccola villetta familiare senza uno straccio di parenti ed amici. Stempiato, con tanto di pancetta ed un misero paio di baffi che gli riempie la faccia, si consola osservando una statuina che raffigura una ragazza hawaiana che campeggia sul suo computer e lasciandosi andare a delle infantili fantasticherie ogni qual volta incrocia in ufficio Vanessa, una ragazza dal visino dolce e dal sorriso smagliante che ha scalato rapidamente le vette dell’azienda concedendosi, senza troppi scrupoli, a Gene Shelby (William H. Macy) il presidente dell’azienda. Dopo aver freddato Ralf, Bob diventa un eroe, è nominato vicedirettore ed è oggetto delle attenzioni di Nancy (Cristina Lawson) una procace segretaria che gli fa occhi dolci.

Ma Bob non ha muscoli, né spina dorsale ed, invece di mostrarsi intrepido, spavaldo e sicuro di sé, s’aggira per l’ufficio, tremante e balbettante, con la coda tra le gambe, nutrendosi del pensiero di Vanessa che, abbandonata da amici e familiari, a seguito della follia di Ralf, è rimasta inchiodata in un letto d’ospedale completamente paralizzata dalla testa ai piedi. Bob si prende amorevolmente cura di lei, l’ospita in casa, la distoglie dai propositi suicidari e riceve in cambio le sue svogliate attenzioni. Quando Vanessa riprende a muovere qualche muscolo, s’insinua in lui il dubbio che, recuperate forze ed energie, lo abbandonerà in futuro per un uomo più affascinante ed interessante.

La mente di Bob si frantuma in mille pezzi ed il finale non potrà che essere tragico e desolante. Una frase che non si presta ad alibi chiude mestamente la vicenda: “Arriva il momento in cui i malati ed i deboli debbono essere sacrificati per salvare il gregge”Cappello ci mostra l’altra faccia dell’american dream, dosa bene i tempi della narrazione e confeziona una vicenda pulsante che ti scava dentro, lasciandoti graffi, lividi ed una manciata di cenere in bocca. La disperazione, il senso di solitudine e di rabbia che cova dentro Bob è palese e si tocca già nelle prime battute quando la voce fuori campo amaramente commenta:

E’ successo qualcosa, abbiamo oltrepassato il limite. Ora non si reagisce più davanti alle cose sbagliate. Questo non è progresso, non è neanche evoluzione. E’ una malattia e c’è bisogno di qualcuno che capisca qual è la posta in gioco, qualcuno che possa esporsi come un vero uomo, di prendere posizione contro l’ingiustizia di questo mondo”.

Il regista spezzetta la narrazione con delle scene surreali (i pesci del piccolo acquario di Bob lo prendono in giro per il suo stato di perenne incertezza e gli rinfacciano che è un uomo incapace di reagire ai continui soprusi) e lascia che il protagonista, invece, di affrontare in maniera adulta la realtà, si rifugi nei sogni ad occhi aperti dove immagina di far esplodere il grattacielo dove ha sede l’ufficio, di volteggiare al fianco di Vanessa in un romantico ballo e di essere accolto in maniera trionfante dai colleghi che assistono estasiati alla presentazione di una sua piccola invenzione).  L’atmosfera è cupa e claustrofobica ed a rimarcare ancora di più l’asetticità dei rapporti tra i diversi protagonisti lascia che gli interni siano illuminati solo da anonime luci artificiali. Senza enfasi o retorica, Cappello ci ricorda che in un mondo dove non c’è spazio per gli affetti, per l’amore ed il rispetto reciproco, prima o poi, tutti sono destinati a scoppiare.

“Oggi l’attacco può arrivare da qualsiasi parte ed in qualsiasi momento e da chiunque” confida Shelby ad uno stralunato Bob che, incapace di reagire agli insulti ed agli sputi in faccia che la vita gli tributa, incassa il laconico e sprezzante commento di Vanessa: “I deboli come te mi fanno uscire di testa”. Dopo aver ingoiato vagoni di rabbia la mente di Bob non può che vacillare ed attirare le attenzioni di Maurice Gregory (John Gulager) lo psichiatra assunto in azienda dopo la strage compiuta da Ralf che, come un segugio si piazza alle sue calcagna, soffiandogli sul collo. Anche se con atmosfere e sviluppi narrativi diversi il film di Cappello rimanda ad una miriade di film; da Taxi driver ad Un giorno di ordinaria follia, da Edmond a Boxing Helena. Un convincente Slater è affiancato da una soave Eisha Cuthbert. Come spesso accade il titolo originario (He Was a Quiet Man) è molto più evocativo e meno fuorviante di quello italiano.

Recensione pubblicata sulla Rivista Segno Cinema – Numero 151- Giugno 2008

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