Siamo nel 1863. Adèle (Isabelle Adjani), figlia di Victor Hugo, è innamorata perdutamente di Albert Pinson (Bruce Robinson), un giovane tenente del sedicesimo reggimento degli Ussari.
Nella speranza di vivere per sempre al suo fianco, Adèle fugge di casa e lo raggiunge ad Halifax, nella Nuova Scozia. Albert è solo un avventuriero e non ha nessuna intenzione di sposarla, ma Adèle, per legarlo a sé, ripiana i suoi debiti di gioco e paga delle prostitute affinché gli regalino delle piacevoli ore d’amore.
Albert non recede di un passo e, dopo aver confessato di non amarla, prova, invano, a convincerla a ritornare in Francia. Adèle non si dà per vinta, minaccia uno scandalo e, per metterlo con le spalle al muro, a sua insaputa, fa stampare sui giornali la falsa notizia del loro matrimonio.
Accecata dalla passione per Albert, un tenente meschino e mediocre, incapace di tollerare abbandoni e separazioni, Adèle continua ad allucinare un amore mai corrisposto e, pur di espugnare il suo cuore, giunge a chiedere ad un sedicente ipnotizzatore (Ivry Gitlis), in cambio di una forte somma di denaro, di mandarlo in trance, così da averlo in suo potere e sposarlo.
Non paga, dopo aver scoperto che ha una relazione con una ricca fanciulla del luogo, finge di essere incinta e manda a monte il loro fidanzamento. Albert rischia carriera e reputazione e parte in gran segreto per le Barbados.
Adèle lo raggiunge, ma precipita, irrimediabilmente, nella follia. Madame Baa (Madame Louise), la raccoglie priva di sensi per strada e la rifocilla. Ristabilitasi, Adèle ritorna in Francia, è ricoverata in una clinica psichiatrica dove muore all’età di ottantacinque anni.
Con raffinata poesia Truffaut traspone sullo schermo i diari di Adèle Hugo, scoperti e decifrati nel 1955 da Miss Frances Veronor Guille, ed impagina una delle storie di “amour fou” più sofferte e disperate della storia del cinema.
Come accade spesso nelle biografie romanzate, Truffaut introduce alcuni elementi che si discostano dalla realtà (Adèle seguì il suo amato quando aveva trentatré anni e non venti) ed omette alcune annotazioni (il diario era scritto in codice), ma soprattutto lascia sullo sfondo il dramma familiare della protagonista che non fu mai amata dal padre, un uomo che aveva solo occhi per Leopoldine, la figlia morta annegata.
Il film è cosparso di un alone tragico e melanconico e, fin dalle prime battute, s’intuisce che la passione di Adèle per il giovane tenente la divorerà, la scaverà dentro, fino a portarla alla follia.
Da antologia la scena finale; Adèle è alle Barbados e cammina per strada vestita di cenci, con i capelli scompigliati ed in disordine; Albert la chiama per nome, ma lei, con lo sguardo perso nel vuoto, non lo riconosce.
Breve apparizione di Truffaut nel ruolo di un ufficiale. Meritatissimo David di Donatello (1976) ad Isabelle Adjani come migliore attrice. Splendida la fotografia di Nèstor Almendros.
Per un approfondimento sul tema con schede film e commento critiche si rimanda alla lettura di “Cinema mon amour I 100 film francesi da amare” di Ignazio Senatore – Classi Editore – 2024
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