American History X di Tony Kaye – USA – 1999 – Durata 110’ –Col/B/N

7 Giugno 2020 | Di Ignazio Senatore
American History X di Tony Kaye – USA – 1999 – Durata 110’ –Col/B/N
Schede Film e commento critico di Ignazio Senatore
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Dopo la morte del padre, un vigile del fuoco ucciso da uno spacciatore nero, Derek (Edward Norton) diventa un nazi-skin, sposa le idee deliranti di Cameron Alexander (Stacy Keach) ideologo della supremazia dei bianchi sulle altre razze e diventa il suo pupillo. Con la testa rasata ed una gigantesca svastica tatuata sul petto, Derek passa il tempo a sparlare di negri, messicani e portoricani. Svelto, spigliato, intelligente, dotato di un grande carisma, fa ben presto proseliti e coagula intorno a sé un gruppo di teppisti violenti e sbandati che assaltano alcuni  negozi di Venice Beach, gestiti da asiatici. Per il fratello minore Danny (Edward Furlong) è un mito da emulare ed a scuola scrive una tesina che elogia il Mein Kampf di Adolf Hitler. In città il clima si fa bollente, un paio di neri provano a rubare l’autoradio di Derek che, freddamente, ne ammazza uno a colpi di pistola. Negli anni  della detenzione, Derek fa amicizia con un nero che lo aiuta a sopravvivere in quell’inferno e lo spinge a rivedere le proprie scelte ideologiche. Scarcerato, tre anni dopo, Derek si batte per convincere il fratello minore a ripudiare le farneticanti elucubrazioni filonaziste. Ma Danny è una testa calda ed offende un nero che, senza pietà,  lo uccide nei bagni della scuola.

Pellicola che affronta il tema spinoso del fanatismo, dell’odio e dell’intolleranza razziale a cui manca quella durezza necessaria per piantarsi dritto nel petto dello spettatore. Il vero motore della narrazione è l’odio razziale, covato per tutta la vita dentro dal padre dei due ragazzi, tramandato a Derek ed a Danny. Senza troppi svolazzi e giri di parole, Kaye sembra ricordarci che non c’è scampo per chi coltiva questo sentimento e chiude la vicenda con la frasi con la quale Danny aveva terminato un compito affidatogli a scuola dal suo professore: “L’odio è una palla al piede: la vita è troppo breve per passarla sempre arrabbiati, non ne vale la pena.”

Più che un saggio sociologico sull’inquietante mondo dei nazi-skin, il regista, all’esordio, mette al centro della narrazione il rapporto tra i due fratelli; da un lato Derek che catechizza i suoi adepti e li spinge ad alimentare sempre più l’odio contro chi non è appartiene alla razza bianca e dall’altro Danny, un ragazzo fragile ed immaturo che prende per oro colato le deliranti teorie di Derek. Ogni qual volta la scena si sposta in carcere Kaye s’affida a dei flashback in bianco e nero e questa sua scelta stilistica dapprima intriga poi finisce per rallentare solo la fruizione del film che riprende quota nel febbrile ed elettrico finale. Lo script non è esente da sbavature; troppo affrettata la conversione/redenzione in carcere di Derek ed il finale strappalacrime con la morte di Danny non sta in piedi. A difesa del film c’è da segnalare le notevoli difficoltà che il regista ha avuto con la produzione che ha rimontato il film; Kaye lo ha ufficialmente disconosciuto ed ha chiesto di ritirare il proprio nome dai crediti del film. Non  a caso, nella versione americana il finale si chiude con Derek che, dopo l’uccisione di suo fratello, si rade nuovamente i capelli e ritorna ad essere un naziskin.

 

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