Amore tossico di Claudio Caligari – Italia – 1983

21 Maggio 2015 | Di Ignazio Senatore

Ostia. Cesare, Michela, Loredana e altri sbandati vivono al solo scopo di procurarsi la “roba”. Per una “pera” sono disposti a tutto: c’è chi si prostituisce, chi compie piccoli furti, chi organizza misere rapine ai supermercati. Quando sono a secco di eroina, non resta loro che fare un salto al Centro, per scroccare una schifosa dose di metadone. Cesare e Michela vogliono dare una svolta alla loro vita e decidono di farsi l’ultimo buco; Michela va in overdose e rischia di lasciarci le penne, Cesare dopo aver rivissuto in flashback i momenti felici trascorsi con lei, roso dai sensi di colpa si spara l’ennesima dose e quando cercherà di sfuggire a due poliziotti che lo stanno inseguendo, è freddato, di spalle, da un colpo di pistola.

Film ambientato nelle borgate romane, girato con attori non professionisti ed ex tossicomani che hanno collaborato alla stesura della sceneggiatura. L’omaggio alla poetica pasoliniana culmina con la scena dell’ultimo buco di Cesare e Michela, filmata a Ostia davanti al monumento dedicato al regista scomparso e con un finale che s’ispira chiaramente ad Accattone. Il regista Claudio Caligari, fedele alla sua scelta di “cinema verità”, riprende con primi piani ravvicinati i buchi che si fanno i ragazzi, compreso quello di Loredana, dritto in giugulare. Il linguaggio del film è quello tipico dei coatti delle borgate romane: “Per mezzo grammo mi dai la fica, per un grammo il culo” dice spavaldo uno scoppiato a Loredana che è disposta a tutto pur di avere una dose. Solitudine, emarginazione, desolazione, disperazione è questo il clima che si respira in tutto il film, che esplode quando Cesare, sommerso dalla noia e incapace di dare un senso alla propria vita, punta prima una pistola alla tempia di Michela addormentata, poi la rivolge verso se stesso e successivamente, ancora più svuotato, la butta via, disgustato. Caligari non giudica e non condanna, si limita a filmare questi spaccati di vita vissuta con uno stile povero e scevro da virtuosismi di maniera. Non può mancare una giovanissima psicologa che lavora nel Centro e che cerca di convincere un tossico a scalare il metadone. Il ragazzo finge di ascoltarla, ma attratto dalle sue forme, dopo averle strappato il camice, le salta addosso. Pellicola d’esordio del regista, presentata in una sezione minore del Festival di Venezia, scandalizzò critica e pubblico: ci fu chi gridò al capolavoro, chi accusò il regista di aver speculato sul disagio e sullo sbandamento di un certo tipo di sottoproletariato. Premiata a Venezia nella Sezione De Sica, al Festival di San Sebastiano e di Valencia, fu definita al tempo la risposta italiana a Christiane F. noi i ragazzi dello zoo di Berlino, film diretto due anni prima da Ulrich Edel, con una tredicenne tossicomane come protagonista.

 

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