Anna Pavignano, la piemontese che stregò Massimo Troisi

23 Aprile 2023 | Di Ignazio Senatore
Anna Pavignano, la piemontese che stregò Massimo Troisi
Contributi di Ignazio Senatore su saggi di cinema di altri autori
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Nativa di Borgomanero, provincia di Novara, incontra Massimo Troisi mentre lei è una delle tante comparse nella trasmissione No stop di Rai 1 nel 1977.

Cupido lancia le frecce e i loro cuori s’incendiano. Come co-sceneggiatrice firma tutti i film dell’attore e regista di San Giorgio a Cremano, da “Ricomincio da tre” a “Il Postino” Scrittrice, (tra i suoI romanzi da segnalare Una cosa che ti scoppia nel cuore, 2012 e Venezia, un sogno 2012) arricchisce la sua carriera di co-sceneggiatrice con due dei più noti successi di Alessandro D’Alatri: Casomai (2002) e Sul mare (2010), tratto dal suo romanzo In bilico sul mare e successivamente con Luca Barbareschi (Something good, 2013) ed Elsa & Fred (2014) e La musica del silenzio (2017) di Michael Radford.

Come nascevano le sceneggiature? Partivano da un soggetto che era tuo o di Massimo?

Abbiamo avuto il privilegio per molti anni di poter far nascere le idee poco per volta, parlandone, frequentandoci e stando sempre insieme. Il soggetto iniziale l più delle volte nasceva da un’idea di Massimo ma si formavano piano piano, parlandone insieme. Da un’idea un po’ vaga, si arrivava a definirla sempre più, fino a farla diventare una storia. La difficoltà della scrittura, infatti, è proprio nel fare in modo che le emozioni, i significati, i concetti, debbano entrare in un racconto. Però, ad esempio, ne Le vie del Signore sono finite, l’impostazione era un po’ più mia. Naturalmente, per me, era un clima diverso rispetto a quando un regista mi chiedeva di scrivere insieme una sceneggiatura.”

Ci sono mai state divergenze in fase di scrittura, uno dei due che voleva che una storia avesse un finale o uno sviluppo diverso?

“No, perché avendo un modo di relazionarci, consolidato anche dal privato, non si arrivava mai ad uno scontro. Poi la mia posizione nei suoi confronti, e in generale dei registi, è sempre stata quella di essere al servizio di chi è dietro la macchina da presa e, quindi, anche se c’era qualche concetto di cui ero più convinta, se Massimo non se la sentiva di farlo, non forzavo e non cercavo certamente lo scontro. Spesso si arrivava ad una mediazione e Massimo teneva sempre in grande considerazione il mio punto di vista.”

Immagino che Massimo ti desse più spazio nello scolpire i personaggi femminili…

“Si, mi venivano affidati e, sulla carta, ero padrona del personaggio femminile, ma essendo commedie, anche il personaggio femminile doveva essere al servizio della comicità, quindi, doveva assumere un ruolo che desse modo a Massimo di far ridere oltre che esprimere contenuti ed emozioni. Di conseguenza a volte, mi trovavo a costruire personaggi troppo forti per la mia sensibilità. Le donne dei film di Massimo sono sempre estremamente forti, a volte dure, e spesso io non le sentivo così.Io le avevo scritte le immaginavo più morbide e meno autoritarie.”

Mentre scrivevate i personaggi femminili, pensavate già a chi poteva interpretarli?

“Giuliana De Sio, si, perché l’avevamo vista in uno spettacolo teatrale, un monologo e ci era piaciuta tantissimo, mentre le altre sono state trovate dopo.”

Tra voi due c’era anche un confronto sui titoli dei film? Venivano mentre scrivevate il film o dopo?

Pensavo che fosse amore e invece era un calesse è un titolo venuto dopo. L’idea di partenza era Pensavo che fosse amore e invece…Durante la scrittura a lungo abbiamo cercato qualcosa che fosse  un “non sense” rispetto all’amore e la scelta del termine calesse fu di Massimo. Ricomincio da tre nasce dalla famosa battuta presente nel film. Ma allora non si sapeva che sarebbero diventati famosi né il film né la battuta e non era così scontato che fosse un titolo giusto. Suonava un po’ strano e sul momento mi lasciò un po’ perplessa. Poi è diventato addirittura un modo di dire, prima si ricominciava sempre da zero, daccapo, dall’inizio e dopo Ricomincio da tre è entrata nell’ uso comune l’idea che si può ricominciare da qualcosa, che c’è sempre qualcosa da salvare e non è sempre necessario azzerare tutto per ripartire, per ricostruire. Le vie del Signore sono finite mi ha fatto ridere subito invece, è stato evidente che era il titolo giusto per il film. Ci piacevano tanto all’epoca, i titoli di Lina Wertmuller e anche se i nostri sono diversi, forse un’spirazione nascosta veniva anche da lì.”

Sei stata al suo fianco per anni e hai continuato a scrivere le sceneggiature con lui, anche dopo che era finita la vostra storia d’amore. Come è cambiato il vostro rapporto professionale?

“Anche quando stavamo insieme, quando scrivevamo, avevamo un nostro set lavorativo ben preciso per cui ci si metteva lì e si assumeva un’aria professionale, se vuoi, un ruolo. Anche dopo è stata un bolla nella quale ci ritrovavamo con le stesse modalità con le quali si lavorava prima. Massimo disse in un’intervista, quando gli chiesero che differenza ci fosse fra lo scrivere con un uomo o con una donna, che lavorare era uguale, che la differenza stava nelle pause. Ecco, dopo che ci siamo lasciati sono cambiate le pause! Comunque , parlando seriamente, noi abbiamo continuato ad avere un rapporto di grande confidenza anche dopo, che non era essere amici, ma che ci faceva sentire in qualche modo vicini anche se ognuno di noi ha preso la sua strada, io mi sono sposata, ho avuto dei figli e lui ha avuto le sue storie…”

Ho rivisto ultimamente quel lavoro televisivo E’ morto Troisi, Viva Troisi. Come nacque?

“Calcola che lui l’ha realizzato nell’82 quando aveva solo ventinove anni. Probabilmente ha ideato quel lavoro come una sorta di esorcismo contro la sua malattia, ma lo avrebbe girato, secondo me, anche se fosse stato sano. Tutto nacque da una richiesta della Rai fatta ad alcuni personaggi di successo di quegli anni di realizzare una monografia su loro stessi. Lui aveva pensato che, essendo così giovane e avendo fatto ancora pochi film, fosse un po’ esagerato ed eccessivamente celebrativo proporre un’opera autobiografica. Come spesso faceva, con tutte le cose che raccontava, ha cercato una soluzione che fosse divertente, spettacolare e, nello stesso tempo, che sfuggisse a questa autocelebrazione.”

E’ però noto a tutti che, chiunque lo frequentava, sentiva il ticchettio del suo cuore e Nora Corbucci ha raccontato che alla proposta del marito Sergio che voleva scritturarlo per dei film, Massimo rispondesse con un non posso firmare nessun contratto perché “non so quanto campo.”

“Questa risposta mi sembra un po’ strana anche se c’è qualcosa di vero. Immagino che sia stata una battuta, una scusa. Non era solito esibire o condividere la consapevolezza di avere una malattia. Comunque non dico che ciò che ti è stato raccontato sia falso, semplicemente qual fondo di vero che c’è viene distorto dai ricordi che sono sempre interpretazioni personali della realtà, dai racconti che passano di bocca in bocca…”

La sua storica pigrizia, secondo te, era legata ad un aspetto del suo carattere o era legato, inconsapevolmente, alla malattia?

“Penso fosse una modalità caratteriale, poi, certo si collegano le due cose.”

Era anche un appassionato giocatore di calcio…

“Infatti, si confondevano le due cose. La pigrizia era causata forse anche dal sentire di avere meno energie a causa del suo cuore imperfetto, ma è anche vero il contrario. Essendo pigro, era facile approfittare del fatto nessuno gli avrebbe mai potuto dire: “Non fare il pigro”, sapendo che aveva un problema di salute. E’ un po’ il concetto che c’è ne Le vie del Signore…: se sei malato, approfittane, anziché cercare di suscitare pietà. In senso bonario, diciamo che Massimo lo faceva.”

Conosci questo gustoso aneddoto raccontato da Vincenzo Mollica? “Io e Massimo Troisi eravamo in un’osteria romana e a un certo punto arriva Al Pacino con due sgallettate. E si mette in un séparé. Verso le 15.30, dopo aver mangiato, lo rivediamo e Massimo li guardava con una voracità e una curiosità incredibile. Sorrideva, e poi mi disse: “A Vincè, hai capito Al Pacino? Però è corto!”

No, non lo conosco, ma non stento a credere che sia stato colpito da due belle ragazze e che abbia trovato il modo di scherzare su un mito, rendendolo con la sua battuta meno mitico.

 C’era qualche soggetto o sceneggiatura rimasta nel cassetto?

“Ogni tanto in questi anni mi è capitato di parlare con qualcuno che mi dice “Avevamo un progetto…” Con Martone stesso c’era nell’aria la voglia di fare qualcosa insieme, forse avrebbe voluto fare un altro film con Benigni o con Scola, ma non c’era il soggetto nel cassetto, già pronto. Con me c’era l’intenzione di portare sullo schermo una storia che poi è diventata un mio romanzo, intitolato “La svedese”,  un film sulla passione al femminile, editato da Verdechiaro, con Massimo, forse, in veste di regista e non di attore. “

Si dice che nella vita privata, ogni comico, in fondo, è una persona triste e malinconica. Massimo confermava questo cliché o era allegro, esuberante come appariva nei film e nelle interviste?

Penso che se Massimo si fosse sentito triste, avrebbe fatto finta di ridere per non confermare il cliché, dato che, come sappiamo, la sua principale caratteristica era quella di stravolgere e abbattere i luoghi comuni. Comunque non era triste anche se sicuramente, come tutti, ha avuto momenti di felicità e momenti di cupezza.

Come mai la scelta di Radford per Il postino, regista poco noto al pubblico e non quella di un regista italiano o più affermato?

Michael Radford è stato scelto perché c’era da tempo la volontà di lavorare insieme, da quando Michael aveva cercato Massimo per proporgli un ruolo nel suo film Another time, Another place e lui non lo aveva potuto fare per altri impegni, dispiacendosene. Radford è un conoscitore e amante della cultura italiana, il suo primo documentario fu girato a Napoli, parlava di San Gennaro e del miracolo dello scioglimento del sangue. Ha frequentato a lungo l’Italia perché la sua ex moglie è italiana. Per quanto riguarda la notorietà non serviva, Massimo era già così conosciuto e amato che aveva bisogno solo di qualcuno che comprendesse a fondo il film, che avesse un gusto simile al suo e che gli fosse amico e complice sul lavoro.

Siamo in attesa di vedere sul grande schermo il film tratto dal tuo bel romanzo “Da domani mi alzo tardi”, edito da E/O, nel 2007, diretto da Stefano Veneruso, nipote di Massimo e assistente alla regia ne Il postino…

“Credo che uscirà presto. E’ bello, toccante e prevale la storia d’amore su quella biografica. Massimo, nel film di Stefano Veneruso, è un’ispirazione, una presenza emotiva, è la concretizzazione di un desiderio, quello di riaverlo tra noi, ma non ci sono aneddoti legati alla sua vita.”

Un ultimo ricordo?

“E’ .un non- ricordo. L’ultimo giorno di riprese de Il Postino Massimo fece una fotografia memorabile con tutta la troupe. Lui al centro, circondato dall’amore di tutti. Mi hanno raccontato che salutò dicendo: “Non dimenticatevi di me”. Io sarei dovuta andare sul set quel giorno per festeggiare insieme a tutti la fine del film, ma ebbi un impegno . E’ un rimpianto doloroso quello di non essere in quella foto e di non aver vissuto quelle ultime ore.”

 

Intervista, pubblicata sul volume “Massimo Troisi Quaderni di Visioni Corte”, a cura di Giuseppe Mallozzi, edito da AliRibelli.

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