Azione, smarrimento ed estasi nel cinema

13 Dicembre 2014 | Di Ignazio Senatore
Azione, smarrimento ed estasi nel cinema
Senatore giornalista
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Ci sono autori che giocano sul sicuro. Prendono, ad esempio, uno dei Maestri del cinema (Federico Fellini, Michelangelo Antonioni, Fritz Lang, Francois Truffatut…) e dedicano loro l’ennesimo omaggio alle loro opere immortali. C’è, invece, chi decide di occuparsi di un argomento di “nicchia” e sprigiona tutto il proprio sapere cinefilico, citando tutte le pellicole nelle quali compaiono gli sciatori, i giardinieri, i cuochi e quanto altro nel cinema. Restano, infine, altre tre categorie di scrittori di cinema. Chi lo fa su commissione ed è “costretto” a magnificare le doti artistiche della diva emergente di turno; chi si occupa dei rapporti trasversali che il cinema coniuga con le altre discipline del sapere (filosofia, psicoanalisi, sociologia, antropologia…) chi con quelle artistiche (teatro, danza, musica, fotografia…). I più “coraggiosi”, infine, scelgono di proporre un proprio percorso personale, partendo da tracce e da sentieri mai battuti da altri autori. A quest’ultima categoria appartiene Arturo Lando, giornalista, critico cinematografico e docente nel Corso di Laurea in Scienze della Comunicazione dell’Università “Suor Orsola Benincasa” di Napoli e Direttore di “Inchiostro” (la testata della Scuola di giornalismo che l’Ateneo ha fondato nel 2003 in convenzione con l’Ordine dei Giornalisti). Lando ha dato, infatti, recentemente alle stampe un volume, edito da “Editoriale Scientifica” dal titolo “Azione, smarrimento ed estasi nel cinema”. Il sottotitolo recita “Proposta di un itinerario”. Ma qual è il percorso che ci suggerisce Arturo Lando? La sua proposta (insolita ed originale) parte dal mito della caverna di Platone, attraversa il pensiero filosofico di Gilles Deleuze, costeggia Sigmund Freud ed arriva fino alle teorizzazioni di Lars Von Trier.Nella prima parte del volume l’Autore sottolinea come nel tempo, la “settima arte” si sia dovuta attrezzare di un proprio linguaggio filmico e come questo sia cambiato nel corso del tempo. Lando non tralascia il cinema di “genere” e le sue riflessioni partono proprio dall’analisi della struttura narrativa del cinema western, fino a scomporre (nella seconda parte del volume) quella che si articola nei “gialli”, diretti da Alfred Hitchcock, l’insuperabile mago del thriller e della suspense. La scrittura è leggera, asciutta e senza fronzoli e traspare in ogni pagina l’assoluta passione per il cinema che divora l’autore.  “Perché il cinema? Nella sala buia, intanto ci deve essere qualcosa che fuori non troviamo, altrimenti non ci andremmo punto. E’ chiaro che quando paghiamo il biglietto, decidiamo, in piena coscienza, di lasciare qualche cosa di noi fuori dalla sala, e di dedicarci dentro a qualcosa d’altro. Si classificano speso i film in base alla possibilità di “evasione” o di “riflessione” che offrono. Ma l’oggetto sia dell’ “evasione da ” sia della “riflessione su” è sempre ciò che succede fiori dalla sala cinematografica.(…) Ma la dommanda resta in piedi.: che cosa hanno gli esseri umani, rappresentati sullo schermo del cinema che non abbiano anche quelli che incontriamo all’esterno della sala buia?” La sua preparazione cinefilica è testimoniata, infine, dalla sterminata citazione di film che Lando allega nel testo. David Wark Griffith, Jacques Tourner, Vittorio De Sica, Orson Welles, Wim Wenders, Pier Paolo Pasolini sono solo alcuni dei grandi Maestri del cinema intorno ai quali l’autore discetta di costruzione narrativa, di azione, di smarrimento, di estasi.  La seconda parte del volume propone una serie di approfondimenti. Al contributo sulla costruzione di triangoli narrativi in Hitchcock, seguono quelli su cinema e percezione, sull’immagine digitale ed una raccolta di quattro contributi giornalistici scritti dall’autore e pubblicato negli anni passati su alcuni quotidiani cittadini. Il primo è dedicato al film “Lezione di piano” di Jane Campion; il secondo ad Antonioni ed al suo lavoro con Wim Wenders; il terzo è una recensione al volume “Tic tac Ciak. Il senso del tempo nel racconto del cinema, curato da Daniele Pitteri ed edito da Mursia; l’ultimo sulla cosiddetta “scuola napoletana” di cinema.

 

 

La Voce della Campania” – Numero 1- Gennaio 2005

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