Sollihoghde è un moderno e asettico luogo di cura che ospita una serie di maledetti svitati. Il più tenero di tutti è Reidar (Kristoffer Joner), timido, impacciato e ossessionato dall’idea che un numero imprecisato di meteoriti e di asteroidi possano cadere sulla terra e distruggere l’intero pianeta. Ha sempre con sé una pallina da tennis che scaglia contro il muro, convinto che un giorno, quando la pallina attraverserà il muro, l’armonia regnerà in tutto il pianeta. La più fragile è invece Juni (Maria Bonnevie) una ragazza bionda, bella, dolce e sensibile che nega la propria sessualità, reagendo aggressivamente se qualcuno le si avvicina a meno di un palmo. Johannes (Kim Bodnia), lo psicologo che li ha in cura, ha anche lui piccoli problemi personali: incapace di far l’amore con la moglie, preferisce sbirciarla mentre lei va a letto con Birgen, un tassista traffichino e imbroglione. Prima che arrivi Natale, succederà un po’ di tutto: Juni tenterà il suicidio, Johannes verrà piantato dalla moglie e un extracomunitario, che si fingeva pazzo per non essere espulso, morirà tragicamente. E quando tutto sembrerà andare a rotoli, la pallina di Reidar attraverserà il muro, d’incanto.
Film non urlato, impalpabile e delicato, diretto dal regista norvegese Gunnar Vikene che non cade nella trappola di rappresentare i soliti pazienti folli e scoppiati. I giovani ricoverati sembrano infatti figure tragiche, che si muovono in un mondo che gira a vuoto perché ormai privo di affetti e di amore. Lo stesso psichiatra è un personaggio tenero e sconsolato che si fa in quattro per loro e quando le cose vanno male, per tirarli un po’ su, ripete una specie di filastrocca: “Siamo un gruppo di persone ricche… con un’interpretazione alternativa della realtà”. Tenera la rete di supporto e di sostegno che si viene a creare tra i diversi ricoverati. La scelta di ambientare la vicenda nei giorni che precedono il Natale non è affatto casuale ed i ricoverati che non vedono l’ora di abbandonare quel gelido luogo per far ritorno a casa dai loro familiari ti addentano la carne e il cuore. Vikene è attento a non proporre una rilettura mielata del disagio mentale, ma (forse) calca un po’ la mano quando ci mostra l’arrivo dei genitori di Juni. La paziente scoprirà che mamma e papà sono solo di passaggio al Centro e che stanno per partire, senza di lei, per le Canarie; per indorarle la pillola, i genitori non trovano di meglio che regalarle un elegantissimo abito da sera e la confortano dicendole che le spediranno una cartolina. Per alleggerire il clima pesante che si respira un po’ in tutto il film, il regista inserisce la delicata storia d’amore tra Reidar e Juni e qualche inserto ironico e gustoso come la scenetta dell’extracomunitario che si finge pazzo per non essere espulso: uno dei ricoverati lo squadra da capo a piedi e dopo aver passato in rassegna e ad alta voce, le varie diagnosi possibili (psicotico, paranoico, borderline, maniaco depressivo) gli dice: “Potresti essere un maniaco depressivo. Devi fare la faccia inespressiva”. E quando l’immigrato mimerà un’espressione un po’ assente, il paziente, di rimando, gli risponde con un entusiastico: “Esatto!”.
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