“Caruso, ovvero la prima star canora del cinema” di Ignazio Senatore –

7 Giugno 2022 | Di Ignazio Senatore
“Caruso, ovvero la prima star canora del cinema” di Ignazio Senatore –
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Cinema e musica sono sempre andati a braccetto, non solo perché la colonna sonora è uno degli elementi più suggestivi di un film ma anche per la grande attenzione che registi e sceneggiatori hanno mostrato nei confronti dei musicisti più acclamati. Non a caso, numerosi sono i film che hanno tradotto, in maniera più o meno romanzata, le vite di artisti e rockstar sul grande schermo. Se scorriamo le produzioni cinematografiche degli ultimi anni, scopriamo che sono diversi i biopic dedicati a musicisti e cantanti come Ray Charles (Ray di Taylor Hackford – 2004), John Cash (Quando l’amore brucia l’anima di James Mangold – 2005), Kurt Kubain (Last days di Gus Van Sant – 2005) Edith Piaf (Le vie en rose di Olivier Dahan – 2007) Bob Dylan (Io non sono qui di Todd Haynes – 2007), per non parlare delle pellicole recenti che hanno reso omaggio a Fred Mercury (Bohemian rapsody di Bryan Singer – 2018), Lady Gaga (A star is born di Bradley Cooper – 2018) ed Elton John (Rocketman di Dexter Fletcher – 2019).

A ben vedere, la prima vera star internazionale del cinema canoro non è stata però né il frontman di una band, né una cantante dall’ugola d’oro voce, bensì Enrico Caruso, osannato dalla critica e applaudito dalle platee di tutto il mondo, interprete di opere liriche composte da Giacomo Puccini, Giuseppe Verdi, Gaetano Donizetti, Pietro Mascagni, Ruggero Leoncavallo e Umberto Giordano, musicisti in auge ai primi anni del Novecento.

Sulla scia del successo che Caruso riscontrava nei lirici di tutto il mondo, nel 1918, la “Famous Players” di Jesse Lasky, casa di produzione americana, gli propose, per la considerevole cifra di duecentomila dollari, un contratto per recitare in due film muti, diretti da Edward Jose e scritti da Margaret Turnball.

In The Splendid Romance, film andato perduto e che ebbe pochissima circolazione, Caruso veste i panni del principe Cosimo, un uomo che ama la musica e le donne. Sposa Bettina, che lo abbandona, e poi vola in America, dove diventa famoso come musicista e convola a nozze con la dolce Mary.

In My Cousin, annunciato il 20 ottobre del 1918, interpreta un doppio ruolo; è il ricco tenore Caroli che, ironizza sul proprio status divistico e racconta la difficile e penosa condizione dei connazionali emigrati in una Little Italy descritta in maniera alquanto pittoresca e veste i panni di un cugino povero italiano, emigrato in America. Nonostante l’interpretazione di Caruso fosse stata apprezzata dai critici, il film non ebbe il successo sperato, sia perché circolò poco negli Stati Uniti e all’estero, sia perché gli spettatori avrebbero voluto sentire Caruso cantare e non vederlo solo muoversi sulla scena.

E’ del 1950 Il grande Caruso, prodotto negli USA e diretto nel 1950 da Richard Thorpe, il primo biopic dedicato al grande tenore.

La vicenda narra di Enrico (Mario Lanza), che, dopo la morte dell’amatissima madre, quando lui era ancora un bambino, si esibisce in qualche osteria e fa la corte a Musetta (Yvette Dugay), figlia di Egisto (Nestor Paiva), proprietario di un mulino, un uomo che si oppone alle loro nozze perché Enrico, con il canto, non garantirebbe una sicurezza economica alla figlia.  Enrico allora inizia a trasportare farina per il futuro suocero, ma un giorno incontra un amico gli accenna che al San Carlo stanno facendo delle audizioni e, prendendolo in giro, gli chiede se ha ancora voce per cantare. Enrico accenna un acuto e Brazzi (Ludwig Donath), un maestro di canto presente nell’osteria, colpito dalla potenza della sua voce, gli propone di entrare a far parte del coro di una compagnia lirica. Enrico brucia le tappe e durante la tournée, grazie alla sua voce squillante, conquista ben presto il ruolo di tenore protagonista. Ritornato a Napoli, ormai ricco e famoso, scopre che Musetta si è sposata. Deluso, propone a Gino (Carl Milletaire), suo amico, di essergli al fianco nelle tournée. A Londra canta al Convent Garden, al fianco della capricciosa e scorbutica Maria Selka (Jarmila Novotna) e nella capitale londinese incontra Alfredo Fucito (Shepard Menken), un tenore ormai in disarmo, al quale propone di fargli da manager. A New York si esibisce al fianco del soprano Louse Heggar (Dorothy Kirsten), moglie di Park Benjamin (Carl Benton Reid), proprietario del Metropolitan, e padre della dolcissima Dorothy Benjamin (Ann Blyth). La prima al famoso teatro newyorkese è un mezzo fiasco ed Enrico, affranto e avvilito, medita di partire immediatamente per l’Italia, ma Dorothy, che si è innamorata di lui, lo convince a restare e alla seconda rappresentazione Enrico è sommerso dagli applausi del pubblico. Enrico e Dorothy decidono di sposarsi, ma il padre di lei, giudica Enrico un bifolco grossolano, rozzo e poco istruito e si oppone fermamente alle loro nozze. Nonostante il divieto, i due innamorati si sposano e dal loro matrimonio nasce una bambina. Le corde vocali procurano a Enrico sempre più dolore e, per cantare, é costretto a far uso dell’etere, un anestetico. La malattia lo divora ed Enrico muore all’età di quarantotto anni.

Il prolifico Richard Thorpe dirige per la MGM, grande major americana, una pellicola dai colori accessi e sgargianti, in bilico tra il musicale e il sentimentale.  La trama, inesistente, più esile della carta velina, diserta completamente lo scavo psicologico dei personaggi, non fa minimamente cenno alla relazione tra Enrico e Ada Botti Giachetti ed è solo un pretesto per mostrare un amimico Lanza cantare qualche classico della canzone napoletana e delle arie tratte dalle opere liriche più famose. Il regista ambienta quasi tutta la vicenda negli States e descrive Caruso come un uomo buono, generoso e dai modi semplici, inondato dagli applausi di un pubblico adorante.

E’ dell’anno successivo, per la regia di Giacomo Gentilomo, onesto artigiano della macchina da presa, Enrico Caruso, leggenda di una voce, film che mescola, un po’ alla rinfusa, due generi cinematografici; il melodramma e il musicale.

La storia, ambientata a Napoli, mostra il giovane Enrico Caruso (Maurizio Di Nardo), bambino, che vive in una famiglia povera. Il padre (Gaetano Verna), vorrebbe che, con qualche lavoretto, portasse qualche spicciolo a casa ma la madre (Maria Tasnady Fekete), credendo nelle sue doti canore, lo spinge a non abbandonare la passione per il canto. Dopo aver preso alcune lezioni dalla rigida ed inflessibile signora Tivaldi (Elena Sangro), Enrico, grazie a Proboscide (Ciro Scafa), un impresario in bolletta, conosce il maestro Vergine (Lamberto Picasso), che gli insegna a modulare meglio la voce. Alla morte della madre, Enrico (Ermanno Randi), divenuto ormai adulto, fa gli occhi dolci a Stella (Gina Lollobrigida) ma il padre di lei ha già deciso che lei deve sposare un barone siciliano che vive a Trapani. Stella obbedisce in silenzio e a Enrico, affranto e amareggiato, non resta che tuffarsi nel lavoro. Dopo aver fatto un provino alla presenza del grande compositore Ruggero Leoncavallo, con la sua voce potente e squillante, fa colpo su Collaro (Gino Saltamerenda), un impresario che lo scrittura. Nella stessa scuderia c’è il tenore Fiorello Giorgi, che interpreta i ruoli principali, anche perché la moglie è l’amante di Collaro. La compagnia fa tappa a Trapani ed Enrico, per far bella figura con Stella, donna che non ha mai dimenticato, chiede a Collaro di affidargli il ruolo di primo tenore. Al suo rifiuto, deluso e arrabbiato, gli comunica che abbandona la compagnia e si reca in una cantina con l’intento di ubriacarsi. Stella lo raggiunge in strada e lo blocca un attimo prima che si sta suicidando, lanciandosi da una scogliera. Dopo avergli proclamato il suo amore e confessato di essersi pentita per non essere rimasta al suo fianco, lo invita a ricordare la promessa di dedicarsi al canto fatta alla madre. Enrico non le dà ascolto e, mentre sta preparando in fretta la valigia per tornare a Napoli, é raggiunto da Giovanni (Carlo Sposito), il fedele amico, che gli comunica che Giorgi ha perso la voce e che deve sostituirlo nell’Andrea Chenier. Per il giovane Caruso é il primo degli innumerevoli trionfi.

Gentilomo, già autore de O sole mio, (per la voce di Tito Gobbi), s’ispira al romanzo Leggenda napoletana di Frank Thies e, nella prima parte del film, fedele ai canoni del melodramma, punta sulla malattia della madre di Caruso, mostrandola sofferente e fiaccata a letto. Successivamente sposta la vicenda sul giovane tenore, lasciando molto spazio alle sue esibizioni canore. La tessitura narrativa però è troppo liquorosa e Caruso é descritto come un sempliciotto, un po’ ingenuo, vittima del dispotico Collaro, costretto a fare da spalla al borioso Giorgi. A strappare qualche sorriso e a rendere più dinamica la vicenda, ci provano Giovanni e qualche simpatica macchietta. Nei panni di Caruso, Randi è abbastanza statico (quando canta è doppiato da Mario Del Monaco) e Gina Lollobrigida (doppiata da Dhia Cristiani), castigata in un ruolo abbastanza melenso, ha perennemente il volto contrito e rigato da qualche calda lacrimuccia. Tra i brani del film “Oi, Marì”, “Voce ‘e notte”,O Paradiso”, “Addio mia bella Napoli” e qualche aria da I Pagliacci e Andrea Chenier .

Anche la televisione nostrana non poteva non rendere omaggio al grande tenore napoletano ed è, infatti, del 2012 Caruso – La voce dell’amore, fiction di Rai Uno, diretta da Stefano Reali, in onda in due puntate, il 23 e 24 settembre.

Il regista mostra Enrico Caruso (Gianluca Terranova), povero in canna, che lavora come carrozziere con il padre Marcello (Patrizio Rispo) e il fratello Giovanni (Yari Gugliucci) in una fonderia del quartiere. Ha una bella voce e raggranella qualche spicciolo cantando nelle osterie, ma spera di poter un giorno esibirsi in un teatro lirico e coronare il sogno della madre, morta tragicamente in seguito ad una malattia quando lui era ancora un bambino, l’unica che credeva veramente in lui. Nell’osteria, dove canta le canzoni napoletane in voga, lavora anche Elvira (Serena Rossi), la sua fidanzata, sulla quale però ha messo gli occhi anche Saverio, un guappo sbruffone e violento, figlio di un barone e nipote del principe di Castagneto (Renato Carpentieri). Enrico é geloso e i due rivali finiscono per litigare. L’indomani, il principe si reca nella fonderia e apostrofa Enrico, minacciando lui e il padre di licenziarli. Il padre, un uomo perennemente attaccato alla bottiglia rimbrotta a sua volta Enrico che, stufo delle sue angherie, molla il lavoro e s’affida al maestro Guglielmo Vergine (Antonio Milo), del Conservatorio di Napoli di San Pietro a Majella che, pur apprezzando le sue doti canore, lo educa a modulare una voce ancora acerba, rozza e greve. Su suo suggerimento, Caruso assiste al San Carlo alla rappresentazione de La Traviata, interpretata dal soprano Ada Botti Giachetti (Vanessa Incontrada), di cui s’innamora a prima vista, e dal tenore Fernando De Lucia (Enrico Ianniello). Scopre così che il principe di Castagneto, uno dei finanziatori del San Carlo, uomo potente e borioso, decide la fortuna di tenori e soprani che, se osano ribellarsi al suo volere, sono banditi dal prestigioso lirico napoletano.

Enrico scopre che Giacomo Puccini (Giampiero Mancini) sta facendo delle audizioni a Torre del Lago per dei tenori sostituti. La Boheme, l’opera che andrà in scena verrà interpretata dalla gelida e scontrosa Ada, sposata con l’avvocato Gino Botti (Bruno Santini) e madre di un bambino. De Lucia, che era il prescelto, s’ammala alla vigilia della prima e, allora, Enrico affianca Ada, una donna che, durante le prove, lo umilia e lo tratta con distacco e sufficienza. Il successo è clamoroso e i due iniziano una tournée che li porterà in giro per l’Europa. Rina (Martina Stella), sorella di Ada, segretamente innamorata di Enrico, scopre che Ada, travolta dalla passione, è diventata l’amante di Enrico. Il dottor Antonio Cardarelli (Ivan Castiglione), intanto, diagnostica ad Enrico una malformazione alle corde vocali e gli consiglia di abbandonare il canto, ma Enrico ignora il suo consiglio e continua a calcare i palcoscenici di tutto il mondo. Ada, cacciata di casa dal marito, durante le prove de La Bohème alla Sala di Milano, per la direzione del maestro Arturo Toscanini, ha un malore, perché incinta e, rimpiazzata da un’altra soprano e mesi dopo dà alla luce un bimbo. Enrico ritorna a Napoli a cantare al San Carlo L’elisir d’amore di Donizetti ma il principe di Castagneto ha un conto in sospeso con lui e, impone agli spettatori di non applaudirlo. Enrico, furioso e indignato, decide allora di non cantare più a Napoli. Degli americani gli propongono di esibirsi al Metropolitan di New York e di incidere un disco che diviene la prima registrazione della storia della musica. Enrico è sempre in tournée e, dopo aver comprato una villa patrizia in Toscana, tralascia la moglie che, sempre più sola, finisce tra le braccia di Cesare Romati (Fabio Fulco), il suo autista ed ex compagno di Elvira. Ada è incinta e, sempre più distante emotivamente da Enrico, non fa più caso ai suoi ripetuti tradimenti. Enrico è informato da Rina della tresca della moglie con Cesare, ritorna a casa e, dopo aver fatto una scenata alla moglie, parte per l’America dove è osannato dal pubblico. Di tanto in tanto, dopo le lunghe tournée, vittima della nostalgia, ritorna a riabbracciare i figli ed Elvira che, ormai stufa, abbandona tutti e, spinta da Cesare, lo trascina in tribunale nella speranza di spillargli dei soldi. Enrico vince la causa e lei é condannata a stare lontana dai figli. Enrico, sempre in giro in tournée, incontra Dorothy Benjamin (Sascha Zacharias), una dolce ragazza americana, la sposa e diventa padre della piccola Gloria. Ritorna in Italia, ma la sua salute è agli sgoccioli e muore a Napoli alla giovane età di quarantotto anni.

La vicenda si dipana a ritroso da un lungo flashback e il regista lascia che la voce fuori campo di Vanessa Incontrada commenti i passaggi salienti della vita dell’artista. Reali lascia grande spazio alle interpretazioni canore di Caruso e tappezza la narrazione con una zuccherosa colonna sonora. Caruso, (interpretato da un Gianluca Terranova fuori registro) è descritto come un uomo che, per il canto, trascura moglie, figli ed affetti. In perenne rotta con il padre, sfruttato dal fratello Giovanni e amato per tutta la vita dalla silenziosa e materna Rita, è descritto come un uomo semplice, buono come il pane, ma fin troppo narciso, al punto che s’illude che Ada possa continuare ad amarlo, anche se è lontano per mesi da casa. Senza spingere eccessivamente l’acceleratore sulla malattia che flagellò Caruso, Reali avvolge il tenore di una patina di eroismo e, in più occasioni, sottolinea come, dopo aver sforzato le sue corde vocali per far esplodere la propria voce, soffrisse in silenzio, soffocando, stoicamente, il proprio dolore. Nel complesso il ritratto di Caruso che se ne ricava è quello di una persona sola, senza amici, che, con il passare degli anni s’indurisce sempre più fino a diventare cinico, avido e interessato solo al denaro. Nonostante gli sforzi, la fiction però non lascia il segno ed è, nel complesso, un’opera noiosa e lacrimevole, dai ritmi sonnecchianti, interpretata da attori e attrici incarcerati in ruoli melensi e privi di respiro.

A ben vedere, più che i biopic cinematografici e televisivi prodotti sul grande tenore, messi da parte i brani cantati da Caruso e inseriti in film di culto come Un bacio e una pistola di Robert Aldrich del 1955, (M‘apparì tutto amor, dall’opera lirica di Fiederich von Flotow) e in 40,000 dollari per non morire di Karel Reisz del 1974 (Una furtiva lagrima da L’elisir d’amore di Gaetano Donizetti), a rendere l’omaggio migliore al più grande tenore di tutti i tempi è stato senz’alcun dubbio Werner Herzog nel suo film capolavoro Fitzcarraldo del 1982. Il film racconta di Brian Sweene Fitzgerald, noto come Fitzcarraldo, un uomo ancora giovane, biondo, vestito in maniera elegante e grande amante della lirica che, dopo aver ascoltato Caruso a Manaus, decide di costruire a Iquitos, al centro dell’Amazzonia, un teatro lirico e spera che a inaugurarlo sia proprio il grande tenore napoletano. Per riuscire nell’intento, si lancia in un’impresa, giudicata da tutti impossibile; affitta un battello che dovrà attraversare un fiume, raggiungere una zona ricchissima di alberi della gomma e, con il ricavato, costruire il teatro. In una scena clou, mentre Fitzcarraldo sta attraversando il fiume sul battello, scopre che gli indios lo seguono da lontano, minacciosi. Per placarli, Fitzcarraldo colloca su un grammofono un disco di Caruso, lo aziona, e lascia che gli indios ascoltino il tenore mentre canta l’aria Bella figlia dell’amore de Il Rigoletto. Gli indios stregati dalla voce di Caruso e, fedeli ad una leggenda che parlava di un dio biondo, scambiano Fitzcarraldo per una divinità e, dopo vari colpi di scena, l’intrepido e visionario protagonista riuscirà a realizzare il suo utopistico progetto.

Capitolo pubblicato sul volume “Enrico Caruso, scugnizzo della lirica”, edito da Metropolis (2022)

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