Chi c’è in fondo a quella scala (Pin) di Sandor Stern – Canada – 1988 – Durata 103’

2 Febbraio 2022 | Di Ignazio Senatore
Chi c’è in fondo a quella scala (Pin) di Sandor Stern – Canada – 1988 – Durata 103’
Schede Film e commento critico di Ignazio Senatore
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Il rigido e severo dottor Linden (Terry O’Quinn) vive nella sua isolata abitazione con la moglie e i suoi due deliziosi figlioletti; Ursula (Cindy Preston)  e Leon (David Hewlett).  Nel suo studio medico campeggia Pin, un manichino, adatto per le dimostrazioni anatomiche, dotato di un perfetto apparato osseo e muscolare e in grado di rispondere alle domande che gli pongono i due bambini. Ursula è più sveglia e disincantata del fratello e ha intuito che è suo padre a dare voce a Pin;  Leon è, invece, convinto che il manichino abbia una vita propria e pende dalle sue labbra. Passano gli anni, Ursula è incinta e suo padre, dopo averle pratica l’aborto, intuisce che i figli sono ormai cresciuti e decide di sbarazzarsi del manichino ma, vittima di un incidente d’auto, muore assieme alla moglie. I due ragazzi sono minorenni e zia Dorothy (Patricia Collins), sofferente di cuore, va a vivere con loro. Leon vorrebbe trascorrere le giornate  a parlare con Pin, ma la presenza della zia gli è d’ostacolo e allora  decide di farla morire di crepacuore. Incapace di relazionarsi con il mondo esterno, Leon si lega sempre più morbosamente alla sorella e, dopo aver vestito Pin con gli abiti del papà, lo fa sedere a capotavola quando mangiano in cucina. Ursula prova, invano, a ridurlo alla ragione, ma s’innamora poi di Stan (John Pyper Ferguson), un simpatico e muscoloso ragazzone e non da più peso ai folli comportamenti del fratello. Leon si sente messo da parte, s’ingelosisce e nel disperato tentativo di tenere la sorella ancora legato a sé, uccide Stan. Il finale non può non essere che tragico.

Sandor Stern, sceneggiatore di The Amityville Horror, pellicola cult del genere horror, confeziona un buon thriller psicologico che possiede un fascino inquietante per la presenza del magnetico manichino che ruba al scena agli altri personaggi della vicenda. Nelle prime battute la presenza del manichino assume una funzione quasi di gioco e il regista sembra impaginare una commedia ironica ed originale. Man mano che la vicenda procede, il clima si fa sempre più cupo e nelle morti dei genitori e della zia sembra che ci sia anche lo zampino di Pin. Ma il manichino non ha particolari poteri e la deriva fantasy è dal regista prontamente disertata. La figura di Stan è tragica e dolente ma un po’ troppo caricata. Il nome Pin viene da Pinocchio e gli era stato affibbiato da Ursula perché non diceva mai bugie.

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