Don Juan de Marco – Maestro d’amore (Don Juan de Marco) di Jeremy Leven – USA – 1995 – Durata – 97’

15 Dicembre 2014 | Di Ignazio Senatore

“Mi chiamo Don Juan de Marco. Sono il figlio del grande spadaccino Antonio Garibaldi de Marco, che é stato tragicamente ucciso per difendere l’onore di mia madre, la “muy hermosa” donna di Santiago di San Martino. Io sono il più grande amatore del mondo. Ho fatto l’amore con più di mille donne. Ho compiuto ventun anni martedì scorso. Nessuna donna ha lasciato le mie braccia insoddisfatta. Solo una mi ha rifiutato e come vuole la sorte é l’unica che abbia mai contato per me. Ecco perché, all’età di ventun anni mi sono determinato a porre fine alla mia vita…ma prima un’ultima conquista…” 

Chi é quest’insolito personaggio, che compare sullo schermo, vestito con un lungo mantello nero e con in volto una maschera che gli copre gran parte del viso? Chi si cela dietro questo giovane dal bell’aspetto? Chi, se non il più grande amatore della terra? Ma cosa spinge questo giovane a salire su un tabellone pubblicitario e a chiedere di voler morire per mano di un fantomatico Don Francisco, valoroso e famoso spadaccino? Sarà il dr. Mickler, un esperto psichiatra che lo dissuaderà dal compiere l’insano proposito e che successivamente lo ricovererà, per un periodo d’osservazione, in un ospedale psichiatrico. Nel corso dei colloqui, Don Juan narrerà la sua storia, ricca d’incredibili ed avventurose vicende che si dipanano a partire la morte del padre, perito in un duello per mano di chi, mentendo, aveva dichiarato d’essere l’amante di sua moglie. Dopo aver vendicato la morte del padre, il nostro eroe fuggirà per lidi lontani. Salpato con una nave in un paese del lontano Oriente, venduto come schiavo, diverrà, poi, l’amante delle mille mogli di un sultano. Successivamente, per il timore di essere scoperto, approderà nell’isola di Eros, dove incontrerà una bellissima e candida fanciulla che, una volta scoperto il numero delle sue avventure amorose non contraccambierà più il suo amore…Il dr. Mickler, affascinato da questo racconto, intuisce che sarà difficile scalfire le costruzioni “deliranti” del suo giovane paziente. E per scoprire chi si cela realmente dietro questo straordinario personaggio, andrà a casa della zia di Don Juan. E dal racconto della donna, il dottore comprenderà come le rocambolesche storie del ragazzo non erano altro che delle “pietose” bugie che il paziente aveva costruito per fuggire da una triste e desolante realtà familiare e personale. L’epilogo del film sembra avviarsi verso un malinconico fallimento terapeutico. Il vecchio psichiatra che, fino ad allora si era rifiutato di mettere in terapia farmacologica il paziente, capitolerà. Ma con un happy-end di stile hollywoodiano, allo scadere dei fatidici dieci giorni di osservazione, il paziente smetterà i panni di Don Juan e confesserà cosa lo aveva spinto a tentare il suicidio:
“Sono nato a Quince. Quando avevo sedici anni mio padre ha avuto un incidente d’auto mentre stava andando fuori città..Mia madre aveva delle storie con altri e mio padre lo sapeva. Comunque si é sentita così in colpa che nel giro di tre settimane, si è fatta suora in Messico…Non sapevo cosa fare, così un giorno stavo guardando questa rivista e c’era una ragazza nuda. Sapevo che mi avrebbe ignorato, così com’ero. Stavo leggendo un libro e ho deciso di diventare Don Juan. Allora ho chiamato la rivista. Non volevano aiutarmi, darmi nessun’informazione, così stavo quasi per arrendermi. Una donna ha avuto pietà di me e ha finito per darmi di nascosto il numero. Così le ho telefonato e lei mi ha chiamato imbecille ed ha riattaccato il telefono. Allora ho pensato di uccidermi o almeno, ho pensato di dare l’impressione che ero pronto ad uccidermi per attirare l’attenzione. Non ho mai avuto l’intenzione di uccidermi sul serio”.
Dopo quest’amara confessione di Don Juan, il regista conclude il film con un artificio di natura fiabesca. Sarà lo stesso dr. Mickler che in compagnia di sua moglie condurrà Don Juan sull’isola di Eros, dove il nostro eroe ritroverà colei che, nella sua costruzione fantastica, era la sua amata fanciulla.
Lo psichiatra
” E’ roba per un super strizzacervelli”, dichiara, all’inizio del film, il poliziotto di turno. Il dr. Mickler da questa frase intuisce che gli spetta un compito difficile e proibitivo. E’ già evidente, sin dalle prime scene, come il regista sottolinei il contrasto tra il giovane aspirante suicida che, nel pieno del suo vigore atletico é salito in cima al tabellone pubblicitario e lo psichiatra che, appesantito dagli anni, a stento riesce ad entrare nella cabina del carrello elevatore che lo porterà, ad incontrare il giovane seduttore. Nel corso del film é interessante notare come, al paziente sull’orlo del suicidio, è contrapposto quest’anziano psichiatra, stanco e demotivato professionalmente e che, per sua scelta, ha deciso di andare in pensione. Nell’approcciare il paziente, il dr. Mickler comprende che deve rispettare il suo delirio e seguirne la scia. Non lo deride per il suo goffo abbigliamento, né si lancia in gratuite ed intempestive interpretazioni, né gli chiede per quale motivo voglia incontrare questo fantomatico Don Francisco da Silva. Non entra in simmetria con lui, ma mettendo in atto un originale stratagemma si presenta a lui come Don Octavio, lo zio di Don Francisco da Silva. Non lo squalifica, dunque, né ingaggia con lui inutili bracci di ferro ma mostrandosi ai suoi occhi, come una figura accogliente e protettiva, lo induce a desistere dal suo proposito.Inizialmente il dr. Mickler non riesce a convincere il direttore della Clinica ad affidargli il paziente che, infatti, é dirottato ad un altro terapeuta. Naturalmente, per esigenze di copione, quest’altro terapeuta sarà incapace di stabilire un seppur minimo contatto emotivo con il ragazzo. Dopo un esilarante e disastroso colloquio, il goffo psichiatra lascerà via libera all’anziano collega. Nel corso della narrazione, assistiamo a come il dr. Micker ascolta, impassibile, le fantastiche ricostruzioni di questo singolare personaggio. E quando l’anziano psichiatra, per valutare la sua adesione alla realtà, gli chiederà:
“Cosa rispondereste a qualcuno che vi dicesse che questo é un Ospedale Psichiatrico, che voi siete un paziente e che io sono il vostro psichiatra?” In risposta, si sentirà dire: “Gli risponderei che il suo é un modo abbastanza limitato e poco creativo di vedere la situazione. Voi volete sapere se capisco che questo é un Ospedale per malati di mente? Si, lo capisco benissimo; ma allora come faccio a dire che voi siete Don Octavio ed io un ospite della vostra Villa? Guardando al di là di ciò che é visibile all’occhio ” 
Sin da questa risposta, il dr. Micker, percepisce che Don Juan gli lancia una singolare quanto affascinante sfida; abbandonare tutte le sue teorie e lasciarsi andare a ciò che va aldilà del consueto e del conosciuto. Nel gioco dei rimandi e degli specchi, propri della relazione terapeutica, s’intuisce che Don Juan gli indicherà la strada di come aiutarlo. Come lui riesce a leggere l’animo femminile perché “guarda al di là di ciò che é visibile all’occhio” così lo psichiatra, per giungere alla verità, per comprendere cosa si cela dietro il suo delirio, dovrà abbandonare quegli schemi e quelle formule pre-costituite, su cui si fonda il suo ormai logoro sapere scientifico. Di fronte a quest’insolita sfida, lo psichiatra vacilla, al punto da non saper poi classificare, da un punto di vista nosografico, la patologia del suo giovane paziente: “Disordine compulsivo-ossessivo, con componente erotomane. Disturbi deliranti e depressione con componente ossessiva. Probabile personalità isterica.” Ma forse il dr. Mickler é confuso perché ha intuito che Don Juan potrebbe aiutarlo a smuoversi da quel torpore affettivo che lo attanaglia e che lo immobilizza da tempo, sia professionalmente sia nella sua vita coniugale. Il paziente sembra aver colto questo bisogno nel suo terapeuta quando, rassicurandolo, gli dice:“Siete un grande amante, anche se avete smarrito la strada” O quando poi, successivamente, lo incalza affermando:  
“Credete che non sappia che cosa vi accade? Avete bisogno di me, per una trasfusione. Perché il sangue é diventato polvere e vi ha occluso il cuore. Il vostro bisogno di realtà, il vostro bisogno di un mondo dove l’amore é incrinato continuerà a soffocarvi le vene, finché in voi non ci sarà più vita. Ma il mio mondo perfetto non é meno reale del vostro mondo. E’ solo nel mio mondo, che voi potete respirare…” 
Come accade frequentemente nella rappresentazione cinematografica degli “analisti in celluloide”, anche in questo caso, sarà il paziente che aiuterà maggiormente il suo terapeuta e non viceversa. L’anziano psichiatra, grazie all’aiuto del giovane seduttore, riannoderà i fili, ormai consunti della propria vita coniugale, riproponendosi agli occhi della sua sposa con rinnovate energie. Ed a testimoniare questo graduale “sentire” che accomunerà i due protagonisti della vicenda filmica, come si congederà dagli spettatori, il tenero ed affettuoso dr. Mickler se non declinando egli stesso la sua “nuova” assunzione d’identità?
“Mi chiamo Don Octavio del Flores e sono il più grande psichiatra del mondo. Ho curato più di mille pazienti. I loro volti si trattengono nella mia memoria ma nessuno più di Don Juan De Marco”.
Il paziente
“Non approfitto mai di una donna. Dono alle donne piacere, se lo desiderano, e va da sé che é il più grande piacere che potranno mai provare…Ci sono alcune donne, dall’aspetto incantevole, con una certa qualità dei capelli, la curva delle orecchie che si prolunga come la rotondità di una conchiglia. Queste donne hanno le dita sensibili come le loro gambe; i polpastrelli provano le stesse sensazioni dei loro piedi. E quando tocchi le loro nocche é come passare le tue mani sulle loro ginocchia. Toccare questa tenera, carnosa parte delle dita, equivale a sfiorare con le mani le loro cosce. Ogni donna é un mistero da risolvere ma una donna non cela nulla a un vero amante. E’ il colore della sua pelle a dirci come procedere; se ha l’incarnato come quello di una rosa, pallido e vermiglio, deve essere persuasa ad aprire i suoi petali con lo stesso calore del sole; la pelle chiara e screziata di una rossa richiede la lussuria di un’onda che si infrange sulla spiaggia, in modo da scuotere ciò che giace nascosto e portare in superficie la spumeggiante delizia dell’amore…Ci sono solo quattro domande che contano nella vita: cosa é sacro, di cosa é fatto lo spirito, per cosa vale la pena di vivere e per cosa vale la pena di morire…La risposta, ad ognuna, è la stessa: solo l’amore”. 
Da queste frasi si può comprendere facilmente qual è la filosofia a cui s’ispira il nostro giovane protagonista. Don Juan, a differenza dei suoi omonimi predecessori, non é il cinico o l’altezzoso seduttore che ispira disapprovazione e condanna per le sue conquiste. Non s’introduce furtivamente di notte nelle stanze delle giovani donzelle, né le circuisce con le lusinghe d’ipotetici matrimoni. Curiosamente in bilico tra spirito e carne, a Don Juan non sembra desiderare il “possesso” della donna quanto quello di godere “esteticamente” per il suo cedimento ed il suo abbandono. Dotato di una straordinaria versatilità linguistica, incanta con il suono delle sue parole le sue giovani prede che, smarrite e turbate, cedono di colpo alle sue lusinghe. Ma in realtà chi si cela dietro questa “macchina desiderante”, dietro questo “rubacuori” che distilla piacere alle donne? Per come é confezionata la trama é facilmente intuibile come Don Juan ammanti di mistero e di poesia, gli accadimenti della sua vita, al fine di rimuovere, in maniera difensiva, la sua reale sofferenza. Se scomponiamo il film, fotogramma dopo fotogramma, possiamo cogliere come il regista, con sapiente maestria, ci disvela la storia del paziente. Il nostro caro seduttore, all’inizio della storia ci è mostrato con il volto coperto da una maschera. E’ lo stesso dr. Mickler che ci offre un’interpretazione di questa sua scelta:
“Si sente così in colpa, si sente così sopraffatto dalla vergogna che si mette la maschera e giura che mai più si toglierà la maschera dal volto, finché avrà vita. Siamo alla perfezione del mito”. Lo stesso direttore della Clinica, in accordo con la sua ipotesi interpretativa aggiunge: “E’ come un mito greco. Il figlio diventa potente, sessualmente attivo, porta alla distruzione suo padre, di cui prende il posto. E’ chiaro che deve farlo, un giorno, per diventare uomo, ma la colpa di prendere di prendere il posto di un uomo che lo ama e che gli ha dato la vita, è troppo grande e spaventosa, perciò deve nasconderla, mettendosi una maschera.” 
Se attraversiamo la pellicola possiamo scoprire, come il regista dissemini altri nessi che confermano le ipotesi dei due psichiatri. Sappiamo che il padre di Don Juan era al corrente delle avventure extra-coniugali della moglie. Anche se nella pellicola non è fatto nessun accenno alle ragioni che spingevano la madre a tradire il marito, possiamo ipotizzare che il piccolo Don Juan abbia considerato suo padre incapace di soddisfare sessualmente la moglie. Non potendosi identificare con un padre “potente” cosa resta a Don Juan se non quello di regalare al padre una morte eroica, facendolo perire, in duello, dopo aver difeso l’onore della sua sposa? Se sposiamo questo filone interpretativo che, rilegge in chiave edipica le vicende di Don Juan, possiamo ipotizzare che la scelta della madre di ritirarsi in convento e di farsi suora, sia contemporaneamente un modo per espiare i suoi sensi di colpa (per i suoi precedenti tradimenti coniugali) o un estremo tentativo di mettere al riparo il figlio da una possibile relazione incestuosa. Nella storia fantastica raccontata dal ragazzo, non é forse lei che prevedendo la probabile ed imminente catastrofe, lo induce, ad imbarcarsi per lidi lontani? Volendo rimarcare la centralità del rapporto con la madre, appaiono evidenti le connessioni tra la ragazza copertina della rivista per soli uomini e l’atteggiamento “licenzioso” della madre di Don Juan. Ed infine come non rivedere nella ragazza del poster che lo rifiuta il sostituto della madre?
Conclusioni
Nell’analizzare il mito di Don Giovanni ho, forse, imposto al testo filmico di combaciare alle mie ipotesi. Ma come ricorda Metz: “Lo spettatore cinematografico non é altro che un “voyeur”, un individuo che deve mantenere una certa distanza tra se stesso e l’immagine, distanza, che si frappone tra il desiderio e il suo oggetto” Spero che anche il lettore, nel seguire le mie peregrinazioni, intorno al mito di Don Giovanni, scelga una distanza amorosa che lo porti ad essere nella storia che ho proposto ed altrove.

Stralcio dell’articolo pubblicato su Interazioni – Numero 2 1996/ 8 Franco Angeli Editore

  

Comments are closed.

Questo sito utilizza strumenti di raccolta dei dati, come i Cookie. Questo sito utilizza Cookie tecnici e di terze parti per fornire alcuni servizi. Maggiori Informazioni

Questo sito utilizza i cookie per fonire la migliore esperienza di navigazione possibile. Continuando a utilizzare questo sito senza modificare le impostazioni dei cookie o clicchi su "Accetta" permetti al loro utilizzo.

Chiudi