Donne di camorra

14 Dicembre 2014 | Di Ignazio Senatore
Donne di camorra
Senatore giornalista
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Impegnato da diversi anni nello studio degli aggregati criminali di stampo mafioso, il sociologo e criminologo Alfredo Grado ha dato recentemente alle stampe il suo ultimo volume: “Camorra. Da crimine organizzato alla riorganizzazione dei crimini” (Edizioni Universitarie Romane – pag 118, 15,00 Euro).

Come mai nel suo volume ha dato così grande spazio alle donne di camorra?

A differenza della cultura mafiosa che ha tramandato l’immagine della donna succube e vittima; le donne di camorra sono tessitrici di rapporti ed in grado di gestire il potere in luogo di mariti o fratelli. Potrei citare Teresa Deviato, rimasta vedova nel 1991 per l’uccisione del marito per mano dei killer, Maria Licciardi che, in diverse occasioni, ha gestito gli affari illeciti del suo clan, Erminia Giuliano, sorella dei fratelli malavitosi di Forcella, accusata di essere una delle donne più spregiudicate della camorra napoletana e Rosetta Cutolo, cresciuta nel mito del fratello Raffaele.”

Le donne di camorra. non fungono, allora, da vestali del focolare, da ombre silenziose dei loro mariti?

Niente affatto. Non solo le donne di camorra non si sottopongono sempre al maschio di casa o ma spesso ne condividono il comando, ne sposano l’ideologia, prendono decisioni autonomamente e, se necessario, li aizzano l’uno contro l’altro. Tra le donne in trincea per difendere i beni e le proprietà del clan, citerei, Anna Vollaro, nipote del boss del clan di Portici, Luigi Vollaro, che si uccise dandosi fuoco nell’ottobre del 2003 dinanzi ad alcuni poliziotti per protestare contro il sequestro ordinato dal Tribunale della sua pizzeria.”

 

Quali altri aspetti più nascosti ha analizzato?

“Ho dato spazio alla presenza simbolica del sangue nei rituali d’affiliazione, tipico elemento derivante dalla società arcaica ed il ruolo delle icone religiose. Un esempio per tutti l’omicidio di Carmela Attrice: gli assassini dopo averla uccisa a colpi di pistola si sono fermati sotto la statua di Padre Pio quasi per lasciar intendere al santo che l’esecuzione che avevano compiuto era indispensabile per la sopravvivenza dell’attività del clan. Per non parlare dei tatuaggi votivi, i braccialetti costruiti con grani di rosario come quello celebre di don Lorenzo Nuvoletta”.

Perché secondo lei il bisogno di appartenenza ad un clan rimanda a dei problemi d’identità presenti all’interno dei gruppo familiari d’origine del camorrista.

“Sono partito da che cosa si nasconde dietro l’asserzione di molti giovani camorristi napoletani: “Io apparteng’a…”. Penso che per questi soggetti la possibilità di far parte di un gruppo, temuto e protetto, dia loro un senso di identità che le loro famiglie d’origini non sono stati in grado di garantire. Infine, partendo dalle testimonianze di Carmine Schiavone, Salvatore Migliorino, Umberto Ammaturo e Salvatore Stolder, collaboratori di giustizia, ho cercato di mettere in luce come alcuni fattori quali la descolarizzazione, le insufficienti condizioni economiche, l’essere cresciuti in alcuni specifici quartieri di Napoli o della provincia, abbiano finito per influenzare, irrimediabilmente, i loro percorsi di vita.”

Lei ha citato dei nomi storici della camorra napoletana. Nel corso dei diversi colloqui con loro che impressione ne ha tratto ?

Le loro storie sono per molti aspetti diverse. Carmine Schiavone ha iniziato la sua carriera intorno ai venti anni, Salvatore Migliorino a dodici. Schiavone mi ha espresso la consapevolezza di aver compiuto delle scelte che erano il frutto distorto della realtà. Adesso lui non crede più che per avere successo nella vita bisogna conquistare un certo potere nell’organizzazione criminale e soprattutto si rammarica di non aver dato ascolto a suo padre. Quello di Migliorino invece, il destino era per certi aspetti già segnato. La sua famiglia, economicamente in difficoltà, era già implicata nel contrabbando.”

E di Stolder e di Ammaturo cosa ricorda?

Nel corso della detenzione in carcere Umberto Ammaturo ha riletto la propria vita, mutando profondamente la propria visione del mondo. Salvatore Stolder è rimasto fedele ai suoi ideali di un tempo.”

 

Articolo pubblicato su Il Napoli – Epolis – 19-2-2007

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