Galantuomini di Edoardo Winspeare – Italia – 2008

18 Dicembre 2014 | Di Ignazio Senatore

Amici inseparabili, i piccoli Fabio, Ignazio e Lucia giocano felici e spensierati in una cittadina del Salento. Passano gli anni; Fabio muore di overdose ed Ignazio, magistrato, appena rientrato a Lecce dopo alcuni anni trascorsi a Milano, ha il compito di scoprire e smascherare chi gestisce il losco traffico di stupefacenti in città.

Lucia, madre di un bambino nato dalla relazione con Infantino un malavitoso locale, è diventata il braccio destro di Zà un boss senza scrupoli. I destini di Fabio e di Lucia finiranno, inevitabilmente, per incrociarsi. 

Dopo aver citato Orson Welles “Ho cominciato dalla vetta con Quarto Potere. Quel film è stata la mia condanna”, Paolo Taviani mi raccontò che “Padre padrone” era diventata la sua persecuzione perché quando negli anni successivi presentava uno dei suoi film, diretti insieme a suo fratello Vittorio, tutti gli dicevano: “Si, però non è come quell’altro”.

Questo aneddoto, credo, calzi a pennello per commentare “Galantuomini”, il nuovo film di Edoardo Winspeare, ritornato dietro la macchina da presa cinque anni dopo “Miracolo” il suo struggente e toccante capolavoro. “Galantuomini” è giocato tutto sul contrasto tra il personaggio di Lucia (interpretato da una straordinaria, intensa e selvatica Donatella Finocchiaro) e quello di Ignazio (un Fabrizio Gifuni incarcerato in un ruolo troppo ingessato e privo di appeal) ed è tutto nello scontro tra istintività e razionalità, tra il peccato e l’innocenza, tra il rispetto delle leggi scritte e quelle del cuore.

Lucida, spietata e determinata, Lucia s’imbarca su un gommone per comprare armi in Montenegro, è disposta a dare la propria vita per il figlio, tiene in pugno i suoi afflliati e negozia a muso duro, affari ed alleanze, con dei temibili avversari.

Ignazio, all’opposto, elegante, trattenuto e composto, è un “galantuomo” dell’alta borghesia salentina, e seppur sia innamorato sin da bambino di Lucia, implode al proprio interno, tenendo al guinzaglio le proprie emozioni. “In tutti questi anni non sei stato nemmeno capace di scoparmi” gli urlerà in faccia Lucia e lui, senza replicare, la guarda negli occhi, con lo sguardo da cane bastonato.

Winspeare diserta le ambientazioni notturne, ambienta la vicenda tra gli Anni Settanta e Novanta e s’inerpica sui sentieri della denuncia sociale, mostrando come era felice e spensierato il Salento prima dell’avvento della Sacra Corona Unita, insediatasi in quelle zone nel 83’ e nata da una costola della ndrangheta calabrese.

Dopo aver lambito il melò con la storia d’amore impossibile tra Ignazio e Lucia, s’immerge nel noir, lasciando che il destino diventi il vero protagonista della pellicola e spruzza la narrazione con scene dirette con crudo e cinico realismo.

Il regista fa un grande uso dei primi piani dei protagonisti, usa il paesaggio come Antonioni per esprimere gli stati d’animo dei personaggi, punta su un’illuminazione marcata e su delle sequenze montate in maniera rapida e tagliente ma, nonostante l’ottima fattura, “Galantuomini” appare privo di quel candore, di quella freschezza, di quell’innocenza che solcavano “Miracolo”, la sua precedente ed impareggiabile pellicola.

Anche se la scrittura è coinvolgente e non mancano i momenti di forte tensione emotiva, l’impressione che se ne ricava è che lo sguardo di Winspeare finisca per essere sovrapponibile a quello dell’incolore, sbiadito e frigido protagonista che osserva, da spettatore, la sua amata Lucia senza sposare i suoi ideali e la sua visione del mondo.

Il regista non cade però nell’idealizzazione della mafia ed i malavitosi che compaiono sullo schermo appaiono tutti dei cialtroni, idioti, volgari ed arroganti. Con dei flashback che spezzettano la narrazione e ci riportano allo scanzonato ed innocente passato dei protagonisti Winspeare dimostra di saper narrare, come pochi, il mondo poetico dell’infanzia.

Convincenti Giulio Colangeli nei panni di Zà, Beppe Fiorello in quelli di Infantino e Lamberto Probo in quello di Fabio. Gioia Spaziani maledettamente fuori ruolo. Splendida la fotografia di Paolo Carnera. 

Recensione pubblicata su Segno Cinema – Numero 155 – Gennaio – Febbraio 2009

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