Gli esclusi (A Child is Waiting) di John Cassavetes – USA 1962- Durata 102’ – B/N

10 Maggio 2021 | Di Ignazio Senatore
Gli esclusi  (A Child is Waiting) di John Cassavetes – USA 1962- Durata 102’ – B/N
Schede Film e commento critico di Ignazio Senatore
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Lo psichiatra  Henry Clarke (Burt Lancaster) dirige da sei mesi un istituto per bambini affetti da ritardo mentale. Jane Hansen (Judy Garland) la sua nuova assistente è inesperta ma è dotata di grande umanità e di una dirompente passione per la musica. Il piccolo Reuben Widdicombe (Bruce Ritckey) sembra assente, non gioca con gli altri bambini ed è incapace di socializzare. Il mercoledì pomeriggio è il giorno delle visite dei familiari e Jane scopre che Sophie (Gena Rowlands) la madre di Reuben non va a trovarlo da due anni. Dalla cartella clinica scopre che i suoi genitori si erano separati e che la madre, dopo aver assunto la custodia della sorellina minore di Reuben, si era risposata. Clark intuisce che Jane si sta affezionando troppo al bambino e, per proteggerlo, la trasferisce in un altro reparto ma il piccolo, per reazione, non mangia e rompe un fonografo ed alcuni giocattoli. Ad insaputa del dottore Jane invia una lettera a Sophie e, mentendo, l’informa che il figlio è ammalato; la madre accorre, si difende dalle accuse che Jane le rivolge e non appena vede Reuben dalla finestra, se ne scappa, per non incontrarlo. Il bambino che ha notato la  presenza della madre la sera stessa, afflitto e deluso, si allontana da solo dalla clinica e dopo lunghe ricerche viene ritrovato. Sommersa dai sensi di colpa, Jane vuole mollare tutto ma, sostenuta dal dottor Clark, cambia idea e trova la forza per  allestire un coro con i piccoli ricoverati.

Cassavetes maneggia una storia che nelle mani di un altro regista sarebbe diventato caramellosa e lacrimevole e contrappone all’ingenua e sprovveduta Jane, il dottor Clark, uno psichiatra direttivo e dal cuore duro che ogni mercoledì pomeriggio al termine della visita dei genitori, legge i loro suggerimenti. Ad una sua assistente dirà: “A volte credo che dovremmo curare i genitori, invece dei figli. La signora Davinson è là fuori a cercare di insegnare ad Ester di leggere  un libro. E’ convinta che  se leggerà qualche parola  potrà portarsela a casa. La mamma di Billy  è preoccupata perché suo figlio  non impara le tabelli9ne; Billy non saprà mai moltiplicare due per due. Che pazzia!” Il film è toccante e Cassavetes non  vuole fare un film di denuncia sulla desolante e triste condizione dei bambini affetti da ritardo mentale ma si limita, senza pietismi, a mostrarli mentre, a fatica, provano ad intrecciare vimini, a dipingere e a confezionare bracciali e collane di conchiglie. Il loro vocabolario è limitato, la loro attenzione scarsa e per lo più ripetono, mimeticamente, le frasi che ascoltano. Ai membri della commissione che gli chiedono che tipo di pazienti ospita e se un giorno questi potranno condurre una vita normale, Clark risponde: “I nostri bambini rientrano in tre categorie; educabili, addestrabili e totalmente dipendenti. Che vuol dire normale; la normalità è relativa. Supponga che io e lei ci trovassimo in mezzo a tutti Einstein, che figura crede che faremmo? E con quale metro vorrebbe che fosse misurato il suo destino con la sua intelligenza o con le sue necessità? Questi bambini hanno diritto ad esser aiutati anche se non sfonderanno nella società”.

Nel corso del film si scopre che Clark è separato dalla moglie e che ha investito tutte le energie nella clinica; Jane è, invece, una ragazza con un torbido passato alle spalle e si è tuffata in questa avventura per dimenticare dolori e sofferenze. Clark intuisce che è sempre incollata a Reuben e la mette in guardia sui rischi legati al loro difficile mestiere: “C’è una trappola in cui è facile cadere; ci si può affezionare troppo ad un solo bambino. Il pericolo è che gli altri se ne accorgono e si sentono respinti. C’è un pericolo maggiore, un pericolo per Reuben stesso. Sa, Miss Hansen, ho pensato spesso che se avessi avuto un figlio ritardato lo avrei preferito gravemente ritardato, anziché come Reuben. Sono i bambini come Reuben, i casi intermedi, quelli che sembrano normali il nostro maggior problema, si rendono conto, anche di più di venir respinti. I suoi genitori non si rassegnarono che molto tardi del fatto che era subnormale. Lo lasciavano giocare con gli altri, lo mandavano all’asilo. Cerchi di immaginare che razza di esperienza deve essere stata per un bambino come Reuben andare all’asilo…Poi decisero che la sola cosa da fare era nasconderlo e isolarlo da qualsiasi cosa per proteggerlo dal mondo, per proteggerlo da se stesso. Ora la continuazione di quel genere di trattamento qui da noi significherebbe che Reuben regredirebbe.” Le sue previsioni si riveleranno azzeccate e quando Jane chiede a Sophie come ha potuto abbandonare suo figlio, la donna, nel difendersi, le dice: “Lei non sa niente di quello che provo io, non può neanche immaginarlo. Io mi sono battuta per lui d quando è venuta al mondo, dal giorno in cui lo portammo dai dottori. Dicevano; rinunciate, è inutile, non c’è niente da fare. Ho combattuto con mio marito, ho combattuto con i dottori, mi sono battuta con il mondo. Lei sa cosa significa per Reuben e per me, viver insieme? Lei sa cosa significa vederlo tornare a casa perchè gli altri bambini lo deridono e lo tormentano? Sa cosa significa nasconderlo quando ci sono visite? Sa cosa significa trovarsi da solo in una stanza con lui e sapendo che anche restando sola con lui, tutta la vita un giorno, fatalmente, lui dovrebbe essere comunque ricoverato ed allora sarebbe troppo tardi perché non potrebbe più adattarsi? Quindi è molto meglio per lui stare con dei bambini del suo stesso genere. Non posso rivederlo. Crede che non lo ami abbastanza? E’ perché io lo amo troppo.” Il film ti arriva dentro e le ultime scene con i ricoverati che cantano, recitano vestiti da indiani e da cow-boy sono indimenticabili. Girato nel Pacific State Hospital di Pomona con dei bambini, portatori di handicap. Tratto dal romanzo The mist di Dixie Willson.

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