I cento anni della nascita di Pier Poalo Pasolini

11 Novembre 2022 | Di Ignazio Senatore
I cento anni della nascita di Pier Poalo Pasolini
Senatore giornalista
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Quest’anno si festeggia il centenario della nascita di Ugo Tognazzi, Vittorio Gassman, Francesco Rosi, Luciano Salce, Carlo Lizzani e Adolfo Celi. Un discorso a parte  merita quella di Pier Paolo Pasolini, nato anche lui in quel magico 1922.  Regista, sceneggiatore, poeta, romanziere ( “Ragazzi di vita “, “Una vita violenta”…), teorico cinematografico, figura complessa e poliedrica all’interno del panorama culturale italico, Pasolini è sempre stato considerato un pensatore scomodo, una voce libera, lontana dal coro. Come dimenticare le sue acute stilettate contro la Chiesa, i politici corrotti, e gli immancabili bigotti e moralisti? L’omosessualità ha pesato come un macigno sulla sua figura ma le sue riflessioni dalle colonne de “Il Corriere della Sera”  e i suoi sferzanti interventi televisivi, hanno illuminato per anni coscienze sopite e rotti gli steccati dell’imperante omologazione culturale.

Mentre tutti apprezzano la sua carriera di co-sceneggiatore (“”Le notti di Cabiria”, “La lunga notte del ‘43”, “Il Bell’Antonio”) decisamente contrastanti sono i giudizi legati alla sua figura di regista. Generalmente la critica considera  “Accattone”, il suo film d’esordio, “Il vangelo secondo Matteo”, “Uccellacci e uccellini”, (con il grande Totò), e gli episodi“La ricotta” dal film collettivo “Ro.Go.Pa.G”, e “La terra vista dalla luna” da ”Le streghe” (ancora con Totò) le sue opere migliori. E se “Porcile”, “Edipo re” e “Medea, seppur statiche e legnose, sono pellicole dotate di un grande impatto visivo, certamente più deboli e discontinue sono quelle che compongono la cosiddetta  “trilogia della vita”: “Il Decamerone”, “I racconti di Canterbury” e “Il fiore delle mille e una notte”. Un discorso a parte meriterebbe il cupo e disperato “Salò o le centoventi giornate di Sodoma”, la sua ultima pellicola, uscita postuma nelle sale.

Ma a ben vedere, forse il film che, a distanza di anni, mantiene ancora intatta la sua forza visiva, è “Teorema”, diretto nel 1968. Ecco in sintesi la trama. Un postino (Ninetto Davoli) consegna a un ricco industriale (Massimo Girotti) un telegramma e l’informa che l’indomani giungerà a casa sua l’Ospite (Terence Stamp). Il giovane, con la sua magnetica presenza e il suo fascino silenzioso, costringe i diversi componenti della famiglia a guardarsi dentro e a fare i conti con se stessi. Lucia (Silvana Mangano), moglie insoddisfatta dell’industriale. trascina, infatti, la propria esistenza, senza coltivare nessun interesse; il figlio Pietro non riesce a prendere contatto con la propria omosessualità; Odetta, l’altra figlia, vive ripiegata nel passato familiare. Grazie all’incontro con l’Ospite, ogni componente della famiglia promuoverà un cambiamento dentro di sé. Perfino Emilia (Laura Betti), la governante di casa, dopo aver miracolato un ragazzo affetto da un inguaribile malattia, ascenderà, come un angelo, sul tetto di un vecchio cascinale.  In questo film Pasolini ricorre ad un collaudato archetipo narrativo (l’arrivo di un  estraneo che sconvolge le regole intorno alle quali un gruppo aveva trovato un proprio equilibrio) e lo utilizza come pretesto per raccontare i fallimenti e le delusioni del mondo borghese. Il regista dosa bene i dialoghi e l’Ospite disvela l’inconscio dei diversi personaggi per lo più attraverso il proprio sguardo e pronunciando solo qualche parola. Pasolini cita Tolstoi, ci offre delle straordinarie riflessioni sulla pittura e la creazione artistica e impreziosisce il film con la musica di Wolfang Amedeus Mozart. All’uscita, la pellicola fu sequestrata e, ingenerosamente, stroncata dalla critica benpensante, per la visione cupa e senza speranza della borghesia italiana, e da certi settori della sinistra perché troppo criptica e cerebrale. 

Articolo pubblicato sulla Rivista Il Corace- Novembre  2022

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