I fratelli De Filippo di Sergio Rubini – Italia – Durata 139′

29 Marzo 2022 | Di Ignazio Senatore

Eguale eppure diverso. E’ questa la sensazione nel vedere il prezioso e appassionato I fratelli de Filippo di Sergio Rubini. Impossibile, infatti, non paragonarlo al fulgido Qui rido io di Mario Martone e addirittura, nelle prime battute, si ha quasi l’impressione che si tratti di un film diretto dalla stessa mano. Eppure i focus sono diversi; se al centro del film di Martone c’è Eduardo Scarpetta, il grande commediografo di successo che dominava al tempo la scena artistica napoletana con le sue travolgenti commedie (Il medico dei pazzi, Nu turco napulitano, Miseria e Nobiltà….), in quello di Rubini i fari sono tutti puntati sui tre giovani De Filippo; Eduardo (Mario Autore), Peppino Domenico Pinelli) e la sorella Titina (Anna Ferraioli Ravel) che, pur essendo figli naturali di Scarpetta, furono registrati all’anagrafe con il cognome della madre Luisa.

Sia Martone che Rubini lasciano intendere che i De Filippo condividessero gran parte della vita quotidiana con gli Scarpetta. Il regista pugliese però sottolinea con più vigore come i tre, fossero considerati dalla moglie e dagli altri figli del commediografo degli estranei, ai quali era impedito di dilettarsi con i giocattoli e utilizzare l’ascensore posto nella loro casa. Entrambi i registi, inoltre, mostrano come, sin da piccoli, i De Filippo calcassero il palcoscenico all’ombra del padre, attore e regista severo e autoritario. Man mano che le immagini scorrono sullo schermo i percorsi dei due film però divergono poi chiaramente. Con il suo film Martone, oltre a rendere un tributo al grande commediografo, sembra voler soprattutto omaggiare Napoli, città che ai primi del Novecento era (come ai giorni nostri?) la capitale culturale d’Italia e, in pieno fermento artistico, pullulava di scrittori, poeti, musicisti e compositori, autori delle immortali melodie famose ancora oggi in tutto il mondo. Il tono di “Qui rido io” è allegro e scanzonato e la ferita dei tre giovani De Filippo per non essere stati riconosciuti dal padre, anche se sottolineata, è lasciata più nell’ombra. Rubini, invece, (coadiuvato in sede di sceneggiatura da Carla Cavalluzzi e Angelo Pasquini) adotta un taglio più amaro e sofferto e sposta l’azione più in là negli anni con i fratelli De Filippo, ormai grandi che, dopo la morte del padre, non avendo avuto da lui nessun lascito, versano in una condizione economica precaria e, per sbarcare il lunario, sono “costretti” a recitare nella compagnia di Vincenzo Scarpetta (un convincente Biagio Izzo), investito dell’eredità artistica paterna. Ma il testardo, volitivo e cocciuto Eduardo freme, vuole rivoluzionare il teatro (non a caso Rubini mostra mentre s’infervora e, dopo aver assistito a Sei personaggi in cerca di autore di Pirandello, difende a voce alta l’opera dai detrattori) e, stanco di accettare compromessi, certo della giustezza delle proprie idee, dopo aver tentato un’avventura artistica a Milano, decide di non recitare più le “scarpettiane” e messe alle spalle il facile successo, trascina nel suo visionario progetto la sorella Titina e il fratello Peppino. Dopo aver dato il benservito a Vincenzo Scarpetta, infatti, diventato impresario assieme al fratello, mette in scena le sue fortunate opere: Sik Sik, l’artefice magico e Natale in casa Cupiello. “Nun t’aggio dato o nomme, ma tu ti si arrubbato l’arte”, dirà Eduardo Scarpetta (un monumentale Giancarlo Giannini) al giovane Eduardo, dopo aver letto una commedia che il figlio aveva scritto di suo pugno. Un riscatto, quello di Eduardo, ottenuto attraverso l’arte, che gli permetterà di affrancarsi dalla figura ingombrante di un padre che ha condannato lui e i fratelli all’umiliante condizione di “figli illegittimi” e che regalerà finalmente dignità a una madre (una luminosa Susy Del Giudice), costretta a vivere perennemente nell’ombra. Per tutto il film Rubini mescola teatro e vita privata dei protagonisti (Eduardo sposerà un’elegante e aristocratica americana e Peppino una delle tante sorelle del marito di Titina) e mostra le infinite dispute tra il deciso, autoritario e inflessibile Eduardo e il tenero, titubante e imploso Peppino. Ago della bilancia la generosa Titina che farà da collante e cementerà negli anni il famoso “trio umoristico” dei De Filippo. Il film ha una struttura circolare, non mancano i flashback e, soprattutto, è un inno all’immensa tradizione attoriale napoletana che non ha eguali in Italia. Al fianco dei tre giovani protagonisti, tutti partenopei, sfilano, infatti, sullo schermo, Vincenzo Salemme, Maurizio Casagrande, Nicola Di Pinto, Marisa Laurito, Giovanni Esposito, Marianna Fontana e Lucianna De Falco. Unici “stranieri” Maurizio Micheli e Augusto Zucchi. Ammirevoli la fotografia (Fabio Cianchetti), i costumi (Maurizio Millenotti) e le ambientazioni dell’epoca, con la messa in scena di una Napoli pittoresca, vivace e colorata, mai da cartolina. A chiudere il cerchio il montaggio di Giògiò Franchini e le musiche di Nicola Piovani. In apertura le immagini del film Nessun uomo le appartiene di Wesley Ruggles con Clark Gable e Carole Lombard. L’unico neo? La durata (142 minuti) di un film pensato inizialmente come serie tv.

Recensione pubblicata su Segnocinema – N.234 – Marzo -Aprile 2022

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