“Il cinema è della materia di cui sono fatti i sogni” – Atti 43° Congresso Società Italiana Psicoterapia Medica (SIPM) – “La dimensione psicoterapeutica in Sanità: la relazione con il paziente strumento base di ogni cura”- 2019

22 Gennaio 2019 | Di Ignazio Senatore
“Il cinema è della materia di cui sono fatti i sogni” – Atti 43° Congresso Società Italiana Psicoterapia Medica (SIPM) – “La dimensione psicoterapeutica in Sanità: la relazione con il paziente strumento base di ogni cura”- 2019
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 “Amo il cinema che non mi lascia in pace” (Erri De Luca)

“Il cinematografo, come i romanzi polizieschi, permette di vivere senza  pericolo le emozioni, le passioni e le fantasie destinate, in un’epoca umanitaristica,  a dover soccombere all’inibizione.” (C.G.Jung)

“Nella clinica sono tutti matti… Non distingue i pazienti dai medici”.

“Io si, i pazienti migliorano.”   (da La tela del ragno di Vincente Minnelli – USA – 1955

Introduzione

Identificazione, proiezione, regressione sono solo alcuni dei meccanismi psicologici che scattano nel corso della visione di un film. Il buio della sala crea nello spettatore cinematografico uno stato di “rilassamento”, uno stato “oniroide”, un particolare “sonno da svegli” che permette, a chi è in sala, di immergersi in quella realtà fittizia prodotta dal mondo della celluloide. Italo Calvino nelle “Lezioni americane Sei proposte per il prossimo millennio” ci ricorda che “Il cinema è il risultato di una successione di fasi, immateriali e materiali, in cui le immagini prendono forma. Questo “cinema mentale” è sempre in funzione in tutti noi, e lo è sempre stato, anche prima dell’invenzione del cinema e non cessa mai di proiettare immagini alla nostra vita interiore.”

Gli fa eco Roland Barthes, il grande semeiologo francese, che afferma: “Il soggetto che parla qui deve riconoscere una cosa: gli piace uscire da una sala cinematografica. Ritrovandosi nella strada illuminata e quasi deserta ( ci va sempre di sera e lungo la settimana) e dirigendosi mollemente verso qualche caffè, cammina in silenzio (non gli piace parlare subito del film che ha appena visto), un po’ intorpidito, goffo, infreddolito, insomma, assonnato: ha sonno, ecco a cosa pensa; nel suo corpo si è diffuso un senso di sopore, di dolcezza, di calma: languido, come un gatto addormentato, si sente un po’ disarrticolato, o meglio irresponsabile. In breve, è evidente, esce da uno stato d’ipnosi.(…) Dal cinema si esce spesso proprio così. Come vi entra? Fatta eccezione per il caso, a dire il vero sempre più frequuente, di una ricerca culturale ben -precisa (film scellto, voluto, cercato, oggetto di una vera e propria vigilanza preliminare), si va al cinema approfittando di un momento di ozio, di disponibilità, di vacanza. Tutto si svolge come se, prima ancora di entrare in sala, si sommassero le condizioni classiche dell’ipnosi; vuoto, ozio, disimpegno; non è davanti al film o a causa del film che si sogna; inconsapevolmente, si sogna prima ancora di diventare spettatori. C’è una “situazione da cinema”, e tale situazione è pre-ipnotica.”

1) Cinema e psicoanalisi

I riferimenti a Calvino ed a Roland Barthes, ci introducono al tema che desidero trattare; i rapporti tra cinema e psicoanalisi, due gemelli immaginari, nati nello stesso anno: il 1985. Il 25 dicembre di quell’anno, infatti, i fratelli Lumiere proiettarono le prime pellicole a Parigi ed a Vienna, Sigmund Freud, il Padre della psicoanalisi, scrive gli “Studi sull’isteria” che è la premessa alla psicoanalisi. Freud non amava il cinema e declinerà una vantaggiosa offerta economica di 100.000 dollari da parte del produttore americano Samuel Goodwin, affinché collaborasse a un film tratto da vicende amorose famose nella storia, a cominciare da Antonio e Cleopatra. Wilhelm Pabst decise di realizzare “I misteri di un’anima” (1926), un film di divulgazione sulla psicoanalisi e  si sarebbe avvalso della collaborazione di Karl Abraham, Presidente della Società Psicoanalitica Internazionale e di Hans Sacks. Lo stesso Abraham, nel 1925, tentò di convincere Freud ad avallare quest’operazione e gli segnala il rischio che se rifiutassero sarebbe stato messo in scena da psicoanalisti selvaggi Freud si dissociò dall’iniziativa ed in una lettera a Ferenczi ribadì:

“La riduzione cinematografica sembra inevitabile, così come i capelli alla maschietta, ma io non me li faccio fare e personalmente non voglio avere nulla a che spartire con storie di questo genere… La mia obiezione principale rimane quella che non è possibile fare delle nostre astrazioni una presentazione plastica che si rispetti un po’. Non daremo comunque la nostra approvazione a qualcosa di insipido…”

Hanns Sachs e da Karl Abraham provarono, invano, a rassicurare il loro maestro sull’onestà dell’operazione. Sin dai titoli di testa gli allievi di Freud lasciano trapelare il loro preciso intento di divulgare la dottrina psicoanalitica:

“Nella vita di ogni uomo ci sono sogni e desideri nella mente inconscia che rimangono oscuri alla mente conscia. Nelle ore oscure del conflitto psichico queste forze sconosciute combattono per affermarsi. La dottrina del professor Sigmund Freud è considerata importante nel trattamento delle malattie mentali. L’esempio dimostrativo in questo film è preso dalla vita.”

Le preoccupazioni di Freud vanno lette in più direzioni. Il cinema al tempo era considerato quasi un fenomeno da baraccone e Freud, tutto teso a dare scientificità alle sue teorie, temeva che il mettere in scena la psicoanalisi lo avrebbe screditato da un punto di vista professionale. Il film di Pabst, inoltre, ruota intorno al collegamento tra la crisi nella quale precipita il protagonista ad un evento traumatico che lo aveva coinvolto quando era bambino. Freud temeva che una rilettura così casuale come spiegazione del disagio del protagonista fosse troppo semplicistica e banale.

2) La rappresentazione dei padri della psicoanalisi sullo schermo

Al di là delle divertenti battute che campeggiano nei numerosi film nei quali il Padre della psicoanalisi è puntualmente citato,  Sigmund Freud compare “ufficialmente” in quattro film.

Freud passioni segrete, pellicola diretta da John Houston, nel  1962. Film travagliato la cui oceanica sceneggiatura iniziale fu scritta da Jean Paul Sarte ed utilizzata solo in parte dal regista. Il film è una sorta di “detective story” che si sviluppa nei cinque anni che vanno dal 1885 al 1890 e mostra Freud che muove i primi passi all’ombra di Breuer, l’utilizzo del metodo ipnotico (poi abbandonato) e la “guarigione” di una paziente isterica, Cecilia che soffre di paralisi alle gambe e d’annebbiamenti della vista. Il film, girato con un bianco e nero accecante mostra (fin troppo) i turbamenti del giovane Freud di fronte alle sue scoperte ed il suo lavoro d’autoanalisi, condotto a partire dal famoso sogno legato a suo padre. Immerso in un’atmosfera che oscilla tra sogno e realtà, il film si avvale della convincente interpretazione nei panni di Sigmund Freud di Montgomery Clift.

Sherlock Holmes- Soluzione 7%, pellicola “minore” (diretta da Herbert Ross, nel 1976) narra dell’improbabile incontro tra Sigmund Freud e il grande investigatore Sherlock Holmes.

In una commedia leggera Un inguaribile romantico, diretta nel 1983 da Marshall Brickman, il fantasma di Freud (interpretato magistralmente da Alec Guinness) appare ad uno psicoanalista, innamorato della sua paziente e gli ricorda che dovrebbe indirizzarla ad un altro analista.

In Sogni d’oro (diretto da Nanni Moretti nel 1981), il regista Michele Apicella (Nanni Moretti), sta girando un film intitolato “La mamma di Freud” Il Padre della psicoanalisi compare mentre detta alla figlia Anna alcuni appunti ed, in una scena successiva, parla al telefono con Jung e gli annuncia che è stato invitato in America per alcune conferenze. In una terza sequenza Freud è per strada con un carretto pieno di libri e vende i suoi scritti più famosi insieme a del torrone e ad una cravatta double-face. Moretti non tradisce il suo stile e per gran parte della narrazione lascia (volutamente) nel dubbio lo spettatore, lasciandogli credere che sta assistendo ad una dissacrante e ironica rilettura del Padre della psicoanalisi ma in realtà le vicende riguardano un folle (Remo Remotti). che crede di essere Sigmund Freud.

Il giovane Carl Gustav Jung compare, invece, in tre pellicole. In Cattiva (film diretto da Carlo Lizzani nel 1990), scossa per il suicido del padre e per la morte di una delle figliolette, morta in circostanze misteriose la ventiduenne Emilia Schmidt (Giuliana De Sio) è ricoverata in una lussuosa clinica privata sul lago di Zurigo. Il giovane Gustav Jung (Julian Sands) la prende in cura e si scontra con il professor Brockner, (Erland Josephson), direttore dell’istituto, fermamente convinto che Emilia sia affetta da “demenza praecox”. Certo che la malattia della paziente sia legato ad i suoi sensi di colpa, Jung accantonato il metodo ipnotico e quello della libera associazione, l’aiuta a ricordare l’evento traumatico che aveva scatenato la sua malattia, producendo catarticamente la sua guarigione. Pellicola un po’ calligrafica dedicata al grande psicoanalista svizzero, liberamente tratta da “Ricordi, sogni e riflessioni” di Carl Gustav Jung, che ha il pregio di mostrare da un punto di vista storico, le cure che venivano adottate al tempo. La trama ruota intorno al giovane, eroico ed instancabile psicoanalista svizzero, divorato dalla sete di sapere e che, incapace di maneggiare il proprio controtransfert, vacilla di fronte alla bellezza di Emilia.

In Prendimi l’anima (2003), il regista Roberto Faenza ci mostra nell’ospedale Burghölzi di Zurigo, Carl Gustav Jung (Iain Glen) ha in cura Sabina Spielrein (Emilia Fox) una giovane ebrea appartenente ad una ricca e colta famiglia russa. Nel corso del ricovero, attratto dalla sua fragilità, grazie al metodo delle libere associazioni, prova a scardinare le sue difese. Jung trascura la moglie Emma (Jane Alexander) e diventa l’amante di Sabina che migliora a vista d’occhio, relaziona con gli altri ricoverati e riprende a mangiare regolarmente. Jung continua a frequentare Sabina anche dopo la sua dimissione dall’ospedale ma, temendo che la scandalosa relazione extraconiugale possa compromettergli la carriera, l’allontana. Sabina, comprende che non può legarlo a sé, si mette in disparte e, con il passare degli anni, si laurea in medicina e, dopo essersi sposata, apre l’Asilo Bianco, il primo asilo per bambini ad orientamento psicoanalitico. Ma la repressione stalinista mette al bando la psicoanalisi e Sabina è costretta a rifugiarsi a Rostov, sua città d’origine. I titoli di coda ci informano che Sabina sarà uccisa nel 1942 dai nazisti insieme alla figlia Renate. Sospeso tra fiction e documentario, il film è basato sul carteggio segreto tra Jung, Freud e Spirlein, trovato casualmente nel 1977, a Ginevra, negli scantinati del Palais Wilson, sede dell’Istituto di Psicologia svizzero. Faenza mette in scena la tormentata storia d’amore tra il giovane Jung (allora trentenne) e Sabina Spierlein ma, più che impaginare un film sulla psicoanalisi, sembra proporre un viaggio nella passione amorosa e sulla sua disperata rinuncia. Sabina è descritta come una donna deprivata affettivamente sin da bambina, vittima di un padre violento che la picchiava continuamente. Fragile ma solare, tenace e volitiva, sin dalle prime battute, mostra una grande forza d’animo e riesce a relegare in soffitta i propri fantasmi. Al confronto Jung appare un uomo fragile, meschino e tormentato che sacrifica, cinicamente, l’amore in nome del decoro borghese e del prestigio scientifico. Faenza è attento alla ricostruzione storica del tempo e ci mostra Sabina, dopo aver tentato il suicidio, legata miseramente ad un letto di contenzione. Il regista arricchisce la vicenda lasciando che la giovane Marie (Caroline Ducev) lontana parente di Sabina, si rechi da Parigi in Russia per cercare documenti sulla vita di Sabina ed è aiutata nel suo peregrinare tra archivi da Richard Fraser (Craig Ferguson) uno storico scozzese che insegna all’Università di Glasgow.

In Dangerous method, diretto da David Cronenberg nel 2011, il giovane Carl Gustav Jung (Michael Fassbender) giovane psichiatra, affascinato dalle teorie di Sigmund Freud (Viggo Mortensen), lavora nell’ospedale Burgholzli dove è ricoverata Sabina Spielrein (Keira Knightley), una ragazza russa dotata di grande sensibilità e di un’acuta osservazione. Grazie alla “talking cure”, la cura con le parole, Jung riesce a penetrare nell’animo della paziente che gli confida come i maltrattamenti e le umiliazioni subite dal padre le procuravano piacere. L’incontro con il ribelle, provocatorio ed anticonformista psichiatra Otto Gross (Vincent Cassel), assertore di una vita vissuta all’insegna del piacere, manderà ancora più in crisi il fragile ed insicuro Jung che, travolto dalla passione per Sabina, finirà per diventarne l’amante. Freud lo ha però designato come suo erede ed Jung sacrificherà l’amore per Sabina, pur di non essere sconfessato dal suo maestro. Il visionario David Cronenberg s’ispira al testo teatrale “The Talkin Cure” di Christopher Hampton e dirige il film più “tradizionale”, “didattico”, “scolastico” e “divulgativo” della sua invidiabile carriera di regista. Rispetto alla pellicola Prendimi l’anima di Faenza introduce la figura di Freud, interpretata dall’algido Mortensen, a cui offre grande spazio, specie nella seconda parte del film, e lascia che le dispute teoriche tra l’anziano fondatore della psicoanalisi ed il suo giovane allievo fungano da sfondo alla vicenda. Cronenberg non cade nelle secche del biopic e descrive Sabina come una donna fondamentalmente perversa, affetta da una grave forma di masochismo. Il regista canadese si limita nel complesso a svolgere con maestria il compitino e prediligendo gli ambienti chiusi, come l’ospedale Burgholzli e lo studio di Jung, amplifica il clima claustofilico che si respira nella pellicola.

Seppur nessun film mette in campo “in carne ed ossa”, la figura di Wilheim Reich, due pellicole fanno chiaramente riferimento alle sue teorie sull’energia orgonica. Messo da parte La rivoluzione sessuale di Riccardo Ghione (1968) (vedi scheda), in Conviene far bene l’amore di Pasquale Festa Campanile (1975), debolissima satira fantapolitica, ambientata nel 1980, gli uomini, esaurite le risorse energetiche della Terra, sono ritornati indietro nel tempo e vivono senza elettricità e benzina. Il professor Enrico Nobili (Gigi Proietti), prendendo a prestito le teorie di Wilhelm Reich, secondo il quale “la vera energia scaturisce dal più completo atto sessuale”, dopo aver sperimentato la validità della sua intuizione su Piera (Eleonora Giorgi) ed altri suoi giovani assistenti, per validarla ancora di più scientificamente, punta (a loro insaputa) su Daniele Venturoli (Christian De Sica), instancabile macho e Francesca De Renzi (Agostina Belli), un’insaziabile amatrice. Le sue congetture sono confermate e Nobili, dopo aver ottenuto il consenso della Chiesa e del Governo, propone lo sfruttamento industriale della sua scoperta. Proibito l’amore in ogni sua forma, vietato il mantenersi per mano, scambiarsi carezze ed altre “disgustose” manifestazioni di tenerezza e d’affetto, messi all’indice i romanzi sentimentali, i balli lenti e le romantiche lettere d’amore,  l’attività sessuale, divenuta obbligo sociale, avrà il solo scopo di fornire beneficio alla collettività. 

c) Cinema ed ipnosi

Sin dagli albori del cinema muto, basti pensare a Il gabinetto del dottor Caligari, capolavoro di Robert Weine del 1920, la tecnica ipnotica si è rivelata un espediente narrativo di grande effetto sul pubblico e, spesso, sceneggiatori e registi, per impreziosire trame traballanti, hanno inserito nel corso della narrazione personaggi magnetici, dotati di un grande fascino che, dopo aver pronunciato qualche parolina magica e fatto oscillare pendolini od orologi da taschino, mandano in trance la loro vittima. La cura ipnotica compare in generi diversissimi tra loro; musical (Girandola…), noir (Il bacio della pantera…) gotici (La tomba di Ligeia, L’Anticristo…), classici del cinema americano (La fossa dei serpenti, La donna dai tre volti…) horror (Due occhi diabolici…), commedie (Alta tensione, La maledizione dello scorpione di giada…), erotici (Ipnosi morbosa…) Generalmente, grazie alla cura ipnotica il soggetto rievoca il passato doloroso e riesce, catarticamente, a lasciarsi alle spalle il trauma che l’aveva condizionato fino ad allora (Il settimo velo, Freud passioni segrete, Sherlock Holmes -Soluzione 7%”, K-Pax…).  C’è chi, nel corso del trattamento fa regredire il paziente ad una vita precedente (L’altro delitto, L’amica delle 5 e mezzo…) e chi  agisce come un automa gli ordini di chi lo ha mandato in trance (Va ed uccidi, L’angoscia…). Mostrando una discreta quota di fantasia, registi e sceneggiatori mettono in campo ipnotizzatori che, con voce suadente, per mandare in trance i loro pazienti fanno oscillare, sapientemente, pendoli, orologi da taschino, penne e matite colorate. Non mancano però quei pazienti (Will Hunting Genio ribelle…) che fingono di essere in trance e prendono simpaticamente in giro il malcapitato ipnotizzatore che, spesso, soprattutto nelle commedie americane, si scopre essere un finto psichiatra ed un mistificatore.

d) Il visual style del noir: quando la psicoanalisi attraversa le immagini

A ben vedere, però, forse, i film più psicoanalitici della storia del cinema non sono quelli all’intenro dei quali compare uno psicoanalista ed il classico paziente sdraiato sul lettino ma quelli inseiriti all’intenro di un genere, definito “noir”, che dominò la scena cinematografica americana a partire dalla metà degli anni Quaranta. Se scorriamo alcuni dei titoli dei film prodotti in quegli anni (Vertigine, Angoscia, Disperata notte, Angoscia nella notte, La muraglia delle tenebre, Così scura la notte, L’ombra del dubbio, L’ombra del passato…) appare evidente come in questi film regna un’atmosfera cupa, inquietante, sospesa tra veglia e sonno, in bilico tra sogno e realtà.

Altre pellicole (La donna fantasma, Il bandito senza nome, Il tempo si è fermato, Sgomento, Nessuno mi crederà…) non rimandano alla perdita dell’identità, al congelamento del tempo interno, al senso d’incertezza e d’inquietudine del protagonista?

Nei noir, i protagonisti delle vicende vagano, nella notte, incerti, come ombre  e le atmosfere nelle queali si muovono sono solcate da sogni ed avvolti in atmosfere oniroidi. La nascita del noir non avvenne a caso e fu figlia di alcuni eventi scoppiati in quegli anni. Con l’avvento del nazismo numerosi cineasti ebrei si rifugiarono in America registi e sceneggiatori del calibro di Fritz Lang, Robert Siodmak, Ernst Lubitsch, Billy Wilder, Otto Preminger esportarono negli “Studios” lo stile crepuscolare, tipico del cinema espressionista tedesco. Parimenti, un gran numero di psicoanalisti Freud, Fenichel, Simmel, Rapaport, Rado ed altri, dopo l’avvento del nazismo, trovarono asilo in America e contribuirono alla diffusione della psicoanalisi negli Stati Uniti.  Come afferma Fabio Giovannini:

“Grazie all’abilità di registi e fotografi, ma grazie anche ad innovazioni tecniche (l’uso di lenti più sensibili alla luce) il visual style del noir usa un’illuminazione capace di creare un effetto che potremmo dire “a bassa definizione”, grazie ai contrasti in cui l’ombra prevale e che contribuiscono a suggerire una sensazione d’incertezza. In più, grazie a spericolate angolature oblique, si spezzava l’equilibrio tradizionale del cinema hollywoodiano, aggiungendo inquietudine nello spettatore, fino a farlo precipitare in uno stato ipnotico.(…) Tipici in questo senso sono gli interni notturni, solcati da strisce d’ombra e di luce, che impediscono di cogliere un centro. Il visual style degli interni noir è fatto d’oscurità, d’ambienti notturni, dove la fluidità delle ombre, spesso oblique, nasconde e contemporaneamente rivela. Il buio prevale, le luci sono sempre diffuse e rarefatte…”

Come ricorda Foster Hirsch:

“In questi film non esiste una parete bianca che non venga oscurata da un’ombra. Le linee che s’incrociano sulle pareti ricordano le sbarre di una cella e quest’atmosfera carceraria non fa che ribadire il senso di clausura, fisica e psicologica di molti noir. Spesso i personaggi appaiono dietro ad una finestra o ad una ringhiera, come imprigionati; proprio le finestre, le scale e gli specchi, che ricorrono nel noir con la stessa frequenza dei saloon e dell’ufficio dello sceriffo nei western, servono a chiuderli, a porli in uno spazio delimitato inserito in un altro spazio delimitato.”

La psicoanalisi divenne, ben presto, espediente o pretesto narrativo utilizzato da numerosi produttori e sceneggiatori e su questa scia nacquero capolavori indiscussi come La donna del ritratto (1944) e La strada scarlatta (1946) di Fritz Lang, Lo specchio scuro (1946) di Robert Siodmak, Il segreto del medaglione (1946) di John Brahm, Viale del tramonto (1950) di Billy Wilder…

e) Cinema e trauma

Un’altra particolarità del cinema americano di quegli anni a cavallo tra il Quaranta ed il Cinquanta è stata quella di mettere in scena, all’interno della narrazione, un evento traumatico accorso nel passato del protagonista che, nel corso della vicenda, risale a galla ed è, inevitabilmente, svelato. Questa costante la ritroviamo nei diversi generi ed i più apprezzabili da un punto di vista stilistico sono senza alcun dubbio  Il segreto del medaglione, un noir ipnotico e Notte senza fine, un western avolto in un’atmosfera rarefatta e sognante. L’ espediente narrativo di far ricorso ad un trauma del protagonista fu spesso utilizzato dal cinema americano (e non solo) per arricchire trami traballanti ed il più delle volte la scena del trauma compare in flashback verso il termine della narrazione, in una scena spesso decolorata in bianco e nero o virata seppia. Chi è vittima di un evento traumatico riesce spesso a rimuoverlo, grazie all’aiuto di una psicoanalista (Io ti salverò…) o rivivendolo, catarticamente, grazie ad un amico o familiare. Negli anni successivi l’evento traumatico è stato spesso una costante narrativa di tantisismi film e nel corso della vicenda e registi e sceneggiatori lasciano trapelare che il protagonista, nell’infanzia ha subìto, un abuso sessuale. Data la scabrosità del tema, i cineasti lasciano, il più delle volte intuire che qualcosa di torbido e di terribile è accaduto nel chiuso di qualche stanza, al punto che la “scena di seduzione” aleggia spesso come un fantasma, per tutta la durata del film, senza essere mai mostrata sullo schermo.  C’è chi la filma in flash-back, realisticamente e con crudezza (Il principe delle maree, Oliver-Olivier); chi in maniera velata e composta (L’uomo di cenere); chi si limita a contrapporre il sorriso sardonico e sinistro del violentatore al pianto della giovane vittima (Mood Indigo, Pazza). Nessun regista mostra compassione o giustificazione per chi deturpa l’innocenza e il candore dl fanciulle o ragazzini, abusati a volte dal patrigno (Pazza, Mood Indigo…) o addirittura dallo stesso genitore (Beneficio del dubbio, Analisi finale). In un secondo sottogruppo collocherei una serie di film che, mostrano come l’evento traumatico possa sconvolgere la mente del protagonista, fino a condurlo ad una grave depressione o alla follia. (Europa 51, La casa degli spiriti). Generalmente, le vittime di questi traumi appaiono incapaci di elaborare il lutto per la perdita di una persona cara (uccisa generalmente da qualche folle maniaco o perita accidentalmente in maniera violenta). C’è chi diventa una specie di Don Chisciotte metropolitano che si batte per salvare gli umili e gli oppressi (La leggenda del re pescatore); chi finisce in qualche clinica per malattie mentali (Cattiva);  chi regredisce in uno stato autistico (Santa sangre, La voce del silenzio…); chi si chiude in una solitudine totale (Tre colori-Film Blu).

f) Cinema e controtransfert amoroso

La figura degli psicoanalisti al cinema, alla quale ho dedicato il mio primo volume L’analista in celluloide, edito da Franco Angeli nel 1998 ed i recenti capitoli “La rappresentazione dello psicoanalista sullo schermo “ e “La La rappresentazione della psicoanalista sullo schermo“, comparsi entrambi nel volume “Cinema (italiano) e psichiatria, non è stata quasi mai rappresentata positivamente. Nel rimandare illettore ai mie scritti sul tema, mi limito a sottolineare come sul grand scehrmo gli psicoanalisti sono generalmente, raffigurati come professionisti pasticiconi, più nevrotici dei pazienti che hanno in cura, con una vita affettiva dissipata e con divorzi e separazioni alle spalle, sono visti, generalmente, come degli incalliti seduttori che, travalicando ogni regola deontologica, seducono le  pazienti (Freud passioni segrete, Ipnosi morbosa, A mia madre piacciono le donne, Amore e magia.. Stay- Nel labirinto della mente, La visione dela Sabba,) le portano a letto (La bestia uccide a sangue freddo, Basic instinct 2…) o addirittura le sposano (Tenera è la notte). Non sono da meno le colleghe donne che, al pari dei maschietti, fanno gli occhi dolci ai loro pazienti (I miei problemi con le donne, Mr Jones…) e con i loro sex appeal, finiscono per attrarli nella loro rete seduttiva.

Conclusioni

Dopo questo breve excursus sulle pellicole incentrate sui rapporti tra cinema e psicoanalisi e sulla rappresentazione degli psicoanalisti sullo schermo, desidero riportare alcune riflessioni di registi che non solo confermano il loro interesse per la psicoanalisi o sottolineano la stretta relazione tra cinema, sogno ed inconscio ma che dichiarano, apertamente, come il lavoro di regista per loro assuma una valenza parallela a quella dell’analisi personale.

“Si, io sono molto affascinato dalla psicoanalisi, specialmente da Freud che mi ha moto colpito ed influenzato, fin dagli inizia della mia carriera, anche da critico.” (Dario Argento)

“Freud non amava andare al cinema, per lui cinema erano i sogni che gli raccontavano i suoi pazienti.” (Bernardo Bertolucci)

Ritrovo nei miei vecchi film un mucchio di cose di cui non ero per niente cosciente. Sono cosciente di tutto quello che faccio, certo,ma solo ad un certo livello. Personalmente ho studiato a lungo Freud e penso di sapere abbastanza cosa sono i simboli che utilizzo. Ma, e questo fa meraviglia, esiste un secondo piano, se volete, dove il vostro simbolismo cosciente, fa appello ad un altro simbolismo, puramente inconscio.” (Roger Corman)

L’arte é sovversiva perché fa appello all’inconscio. Non sono un freudiano, ma credo nell’equazione “civiltà uguale repressione”. L’arte è a favore di tutto ciò che viene represso. Quindi è contro la civiltà, contro la società con le sue norme stabilite. Più un film è collegato con l’inconscio, più è sovversivo. Come lo sono i sogni.”  (David Cronenberg)

“Non c’è nessuna forma d’arte come il cinema per colpire la coscienza, scuotere le emozioni e raggiungere le stanze segrete dell’anima.”. (Ingmar Bergman)

Il meccanismo creatore delle immagini cinematografiche è, a causa del suo funzionamento quello che, fra tutti i mezzi d’espressione umana, richiama meglio il lavoro dello spirito durante il sonno. Il buio che invade a poco a poco la sala equivale all’azione di chiudere gli occhi. E’ allora che comincia sullo schermo e al fondo dell’uomo l’incursione notturna dell’inconscio; le immagini come nel sogno compaiono e scompaiono, il tempo e lo spazio cronologico e i valori relativi di durata non corrispondono più alla realtà.” (Luis Bunuel)

Personalmente, faccio film per motivi terapeutici. .Si potrebbe dire che ho portato avanti la pratica psicoanalitica parallelamente a quella cinematografica. In ogni caso si tratta di un’analisi strana, che s’interrompe ogni volta che inizio un film. Durante il periodo delle riprese, il film sostituisce l’analisi.” (Bernardo Bertolucci) 

Bibliografia

Roland Barthes, 1997, Sul cinema, Genova, Il nuovo Melangolo, pp 145

Italo Calvino, 1988, Lezioni americane Sei proposte per il prossimo millennio, Milano, Garzanti, pp 93

Fabio Giovannini, 2000,  Storia del noir, Roma, Castelvecchi, pp 20

Foster Hirsch, 1989, Lo specchio folle: lo stile da I colori del nero,  Roma, Ubulibri, pp155

Ignazio Senatore, 1998, L’analista in celluloide, Milano, Franco Angeli

Ignazio Senatore, 2001, Curare con il cinema, Torino Centro Scientifico Editore, pp 32,33

Ignazio Senatore, 2013, Cinema (italiano) e psichiatria, Milano, Zephyro Edizioni, , pp 25-60

Ignazio Senatore, 2013, Il bello del cinema? I pop corn. Le più belle riflessioni sul cinema, Alessandria, Falsopiano Edizion, pp 30, 53, 54, 101, 137

Bibliografia consigliata

Rodolfo De Bernart, Ignazio Senatore, 2011, Cinema e terapia familiare, Milano, Franco Angeli

Ignazio Senatore, 2010, Cinema Mente Corpo, Milano, Zephyro Editore

Ignazio Senatore, 2012, Roberto Faenza Uno scomodo regista, Alessandria, Falsopiano Edizioni

Ignazio Senatore, 2013, Perché si danza quando si ha voglia di baci. Le più belle frasi dei film d’autori – Alessandria, Falsopiano Edizioni 

Ignazio Senatore, 2013, Conversazione con Giuseppe Piccioni, Alessandria, Falsopiano Edizioni

Ignazio Senatore, 2014, Daniele Luchetti racconta il suo cinema, Alessandria,  Falsopiano Edizioni

Ignazio Senatore, 2015, Alessandro D’Alatri: Il mio cinema, Alessandria,  Falsopiano Edizioni

Ignazio. Senatore, 2015,  I registi della mente (e altre storie), Alessandria,  Falsopiano Edizioni

Ignazio Senatore, 2016,  Fermi tutti sono incinta Cinema e gravidanza, Alessandria,  Falsopiano Edizioni

Ignazio Senatore, 2016,  Quando il cinema fa goal, Roma, Absolutely Free

Ignazio Senatore, 2017, Peter Del Monte Un regista controvento, Alessandria,  Falsopiano Edizioni

Ignazio Senatore, 2017, Mimmo Calopresti La parola cinema esiste, Alessandria,  Falsopiano Edizioni

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