Il cinema e il Vesuvio

15 Dicembre 2014 | Di Ignazio Senatore
Il cinema e il Vesuvio
Senatore giornalista
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Non c’è un vulcano più famoso al mondo del Vesuvio; vuoi perché sulle sue pendici abita Amalia, la fattucchiera, mitico personaggio dell’universo disneyano, vuoi per i brani musicali a lui dedicati; su tutti quello cantato da Domenico Modugno e Sergio Bruni al Festival di Napoli del 1967 e quello recente, scritto da Angelo De Falco, apparso nel film Passione di John Turturro, interpretato dagli Spakka Neapolis 55. 

Vulcano simbolo di una città che sembra esplodere da un momento all’altro ma che trae la sua bellezza dalle sue forme morbide che declinano dolcemente fino al mare, il Vesuvio è stato citato (direttamente o indirettamente) in tantissime pellicole a partire dal film collettivo I Vesuviani, diretto nel 1997 da quella che allora, impropriamente, fu definita la “scuola napoletana”: Antonio Capuano, Pappi Corsicato, Antonietta De Lillo, Stefano Incerti e Mario Martone. Nell’ultimo episodio, La salita, Mario Martone affida a Toni Servillo il ruolo del sindaco di Napoli che, accompagnato da un corvo parlante, si interroga sul difficile ruolo di primo cittadino, mentre si inerpica sulle pendici del vulcano. Nonostante i cinque episodi fossero interpretati da un cast di attori napoletani d’eccezione (Cristina Donadio, Tonino Taiuti, Renato Carpentieri, Franco Iavarone, Lello Serao…) il film nel suo complesso non raccolse grandi consensi dal pubblico e la critica si concentrò non sottolineare come la figura di Servillo rimandasse inequivocabilmente a quella di Antonio Bassolino, fresco sindaco di Napoli e come la presenza del corvo fosse un’innegabile omaggio ad Uccellacci ed uccellini di Pier Paolo Pasolini, interpretato da un insuperabile Totò.

Ma il vulcano più famoso del mondo ha vissuto sul grande schermo anche di luce riflessa e sono tantissime le pellicole dirette nelle città poste alle sue pendici, a partire dal vibrante Fortapasc, diretto nel 2008 da Marco Risi, che ruota intorno alla coraggiosa figura di Giancarlo Siani, giornalista de Il Mattino ed alla sua vile uccisione per impedirgli di far luce sui loschi traffici dei clan che imperversavano a Torre Annunziata e dintorni.

Anche Portici è stata rappresentata al cinema in diversi film. Il capostipite è La muta di Portici, diretta nel 1924 da Telemaco Ruggeri e successivamente nel 1952 da Giancarlo Ansoldi, ambientati entrambi nel 1647. Le pellicole narrano le gesta di Tommaso Aniello, detto Masaniello e dell’improbabile storia d’amore tra sua sorella Lucia ed il figlio del Vicerè. Come in ogni melodramma che si rispetti il potente Vicerè scopre la tresca, ordina di incarcerare la donna e di torturarla. Divenuta muta, e rinchiusa in un convento, nel finale strappalacrime, scongiura Masaniello, autore della sommossa popolare di risparmiare il suo amato.

Una trama sovrapponibile alla precedente è ne La fanciulla di Portici, diretta da Mario Bonnard nel 1940 con la diva del Ventennio Luisa Ferida nei panni della protagonista.

Chiude il cerchio I cinghiali di Portici di Diego Olivares (2003), pellicola che narra di un gruppo di ragazzi, ospiti di una struttura per il recupero di minori a rischio alla periferia della città vesuviana, spinti da un operatore a formare una squadra di rugby.

Non poteva mancare all’appello una città come Ercolano, protagonista del peplum, genere tanto in voga in Italia fino agli anni Sessanta: Anno 79: la distruzione di Ercolano diretto nel 1963 da Gianfranco Parolini.

Messo da parte lo storico concerto dei Pink Floyd a Pompei nel 1972, la parte del leone sul grande schermo la fa certamente Pompei, con gli innumerevoli remake de Gli ultimi giorni di Pompei, diretto la prima volta nel 1908 da Luigi Maggi e rifatto nel 1913 da Enrico Vidali, nel 1924 da Carmine Gallone, nel 1935 dallo statunitense Ernest B. Shoedsack e prodotto dalla mitica RKO, nel 1937 da Mario Mattoli, nel 1951 da Paolo Moffa, fino al più famoso di tutti diretto nel 1959 da Mario Bonnard e portato a termine da Sergio Leone, con il divo dei peplum Steve Reeves, nei panni di Glauco, eroico centurione romano. Tutte queste pellicole, con qualche piccola variazione sul tema, ruotano sull’amore contrastato tra due giovani, di classe sociale differente (un patrizio ed una schiava) e mostrano sullo sfondo le lotte tra cristiani e romani, fino al fatidico giorno dell’anno 79 A. C quando la lava li sommergerà tutti.

Meritano una citazione, infime, Jone o gli ultimi giorni di Pompei del 1913, diretto da Giovanni Enrico Vidali, gli sdolcinati strappalacrime Campane di Pompei di Giuseppe Lombardi (1952) e Rosalba la fanciulla di Pompei di Natale Montillo (1952) ed, infine, La trovatella di Pompei diretta nel 1959 da Giacomo Gentilomo, anch’esso nel solco dei melodrammi alla Matarazzo che vede la giovane protagonista, interpretata da Alessandra Panaro, abbandonata da piccola, adottata da una modesta famiglia ed accusata, poi, ingiustamente, di un delitto e che, dopo mille colpi di scena, nell’happy end, verrà ritenuta innocente.

Dopo questo piccolo excursus sui rapporti tra cinema, il vulcano partenopeo e le città che sorgono alle sue pendici, non possiamo non ricordare che la rappresentazione cinematografica più esilarante del Vesuvio compare nel film cult Il furto è l’anima del commercio, diretto nel 1981 da Bruno Corbucci, interpretato da Enrico Montesano ed Alighiero Noschese. Quest’ultimo, con la complicità del suo compare, dopo aver creato l’illusione ottica del Vesuvio che fuma, invita tutti a giocare un terno; “66: ‘o miracolo, 88: l’eruzione e 74: ‘o Vesuvio con la pippa in bocca”. Affinchè la vincita fosse certa, bisognava, però, giocare i numeri ad un banco lotto della “palombella”, che a suo, dire, portava fortuna. Riuscirà con questa mossa, il nostro simpatico imbroglione a portare termine la truffa e ad impossessarsi del cospicuo malloppo che gli inguaribili scommettitori avranno versato al banco lotto?

Articolo pubblicato su Il Corriere del Mezzogiorno – 25 gennaio  2013

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