Il Corriere della Sera salute 2002: una terapia da Oscar

14 Dicembre 2014 | Di Ignazio Senatore
Il Corriere della Sera salute 2002: una terapia da Oscar
Interviste a Senatore
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“Il Corriere della Sera- Corriere Salute” – 8.9.2002

“Una terapia da Oscar”

di Edoardo Rosati 

“Storie. Storie di ordinaria follia. Ai confini della realtà. Di famiglie in un interno. D’amore e di anarchia. Il cinema trabocca e vive di storie. Che ama narrare con la complicità del buio in sala. Quasi un grembo materno, direbbe la psicoanalisi. E allora qualcuno, in America, patria di mille mode, non ha esitato a inventarsi una nuova “fede”: la cineterapia. Perché no? Non potrebbe essere la sala cinematografica una sorta di lettino avvolgente, con lo schermo-psicoterapeuta che stimola il nostro vissuto con i suoi racconti e i suoi personaggi?  Non è il cinema un formidabile repertorio di tipologie umane, spaccati sociali e vicende private, nelle quali chiunque può intravedere un “doppio” familiare capace di accendere stimolanti (o perturbanti) riflessioni personali? Lo psicoterapeuta Gary Solomon dice: un film al giorno leva il medico di torno! Con il suo libro “The Motion Picture Prescription” sostiene infatti che talvolta le dritte giuste e più incisive per prendere di petto i problemi della vita ci giungono dai film. Lui da quasi dieci anni non fa che prescrivere videocassette ai propri pazienti.  E afferma: “Se credo che il cinema abbia la forza di guarire é perché i personaggi che lo animano affrontano problemi in cui noi stessi ci siamo spesso ritrovati. E’ innegabile: i film sono un genuino esempio di come l’arte imiti la vita.” 

Non la pensa così il dottor Ignazio Senatore. Psichiatra, psicoterapeuta e “incurabile” cinefilo militante, svolge la sua attività lavorativa presso l’Area Funzionale di psichiatria dell’Università di medicina “Federico II” di Napoli e ha di recente firmato il libro “Curare con il cinema” (Centro Scientifico Editore, 240 pagine, 24,00 euro). Nelle cui pagine sostiene una posizione opposta. Dottor Senatore, le storie cinematografiche curano davvero?

“Io amo il cinema. Il cinema, con le sue storie e le sue facce, colora i nostri discorsi e i nostri ricordi. Nel tempo ha saputo regalarci un mare infinito di esperienze virtuali, una trama di immagini e parole entrata a far parte del bagaglio culturale popolare”. 

Come scrive Giuliano Gramigna sul “Corriere della Sera”, “i film costituiscono un dialetto universalmente intelligibile, semplificatore e diffuso”. Un terreno su cui, distrattamente o intensamente, siamo tutti cresciuti. “A chiunque, riprende Senatore, sarà capitato di esclamare “Mi sembra un film!” per descrivere un evento che ci ha turbati. Dunque, io non posso certamente negare che la visione di una pellicola metta in moto meccanismi psicologici come la regressione, la proiezione o l’identificazione, ma da qui a prescrivere un film alla stregua di una medicina il passo è lungo. E poco mi convince”.

Un esempio: il film “Alien”. La storia è nota: durante una tappa su un pianeta sperduto, un organismo dalla biologia ignota s’impadronisce del corpo di uno degli uomini dell’astronave Nostromo; la creatura farà scempio della ciurma ma verrà battuta dalla scaltrezza di una donna. Ebbene, il dottor Salomon scorge nel film di Ridley Scott i seguenti motivi: confrontarsi con un pericolo, salvaguardarsi da chi mira a colpirci alle spalle, misurarsi con il lato oscuro delle cose, concedere spazio all’intuizione, ingaggiare una lotta. Ed ecco, sinteticamente, come giustifica la “prescrizione” di questa pellicola: 

“I film di fantascienza racchiudono splendidi messaggi. L’opera in questione, per esempio, ti chiede: chi é il tuo “alien”? Forse stai passivamente trascinando un rapporto a causa di un’altra segreta relazione amorosa. Che dazio stai pagando, per questo comportamento, al tuo “alien” privato? Notti insonni? Dolori allo stomaco? No, non puoi metterlo a tacere ingurgitando farmaci o alcol. Lui, l'”alien”, non lascia requie. E allora affrontalo una volta per tutte e assumiti le tue responsabilità! Se vuoi essere una persona che sa stare al mondo”.

Pronta e decisa la risposta di Senatore: “Che senso ha consigliare la visione di “Alien” a chi soffre di disturbi psicosomatici? La pellicola di Ridley Scott non é forse un film sulla “follia”, sulla paura che parti scisse (aliene) della mente possano prendere il sopravvento sulla psiche del soggetto?”. Il messaggio è: quale beneficio può mai trarre un paziente ipocondriaco dai turbamenti che punteggiano il film? 

Come potrebbe “incanalare” positivamente i colpi bassi inferti dalla claustrofobica vicenda? “Mi sembra che le “cine-prescrizioni” del dottor Salomon semplificano eccessivamente (per non dire “sviliscono”) i mali interiori dello spettatore. Le reputo scolastiche, elementari, poco immaginative. Qualcuno é alle prese con problemi di dipendenza dall’alcol? E Salomon raccomanda: “L’uomo dal braccio d’oro”, “Il principe delle maree” e “I giorni del vino e delle rose”. Un paziente non riesce a gestire la paura della morte? E allora di corsa a vedere “All That Jazz”, “Il grande freddo”, “L’attimo fuggente” e “La scelta di Sophie”, osserva Senatore. Insomma: un trauma, una trama.

“Pur adorando il cinema, sono il primo ad affermare che la semplice visione di un film non potrà mai eliminare i conflitti, ridurre le ansie e placare le angosce di uno spettatore/paziente. Una pellicola per pillola: “Guardi questo film e vedrà che si sentirà meglio”. Sarebbe bellissimo, ma é inverosimile, senza i giusti appigli forniti dalla relazione con lo psichiatra. Io penso invece che il cinema sia un formidabile scrigno di spunti e consigli soprattutto per noi medici. Pescando dalle vite, dai ruoli, dalle complicazioni, dai conflitti, dalle parole e dagli atteggiamenti degli uomini e delle donne di quel “mondo parallelo” che è il cinema, il terapeuta della psiche può studiare con una lente d’ingrandimento in più il paziente”.

Del resto, qual’é il lavoro dello psichiatra? Ricostruire nel malato la “trama” della sua vita, restituire senso e significato – con un accorto “montaggio” – a quanto la persona ha “girato” fino a quel punto della sua esistenza, fotografare in piena luce ciò che il paziente non riesce più a narrare. E in questa delicatissima regia, il cinema é un gran consigliere.

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