Il diavolo é femmina. L’immagine della donna tentatrice nel cinema

27 Febbraio 2023 | Di Ignazio Senatore
Il diavolo é femmina. L’immagine della donna tentatrice nel cinema
Senatore giornalista
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I sacri (?) testi narrano che Eva, la prima donna abbia suggerito ad Adamo di strappare dall’albero della conoscenza una mela, considerato un frutto proibito. Le antiche religioni mesopotamiche raccontano invece che prima di Eva il pianeta fosse abitato da Lilith, un demone femminile associato alla tempesta, ritenuto portatore di disgrazia, malattia e morte. Ne L’alfabeto di Ben Sira (VII e IX sec A.C) si narra di Lilith, la prima donna, coperta di sangue e saliva, creata da “sedimenti e sudiciume” il sesto giorno insieme ai rettili e ai demoni. Impura, con degli aspetti al femminile più esplicitamente sessuali, abbandona Adamo, e fugge sulle rive del Mar Rosso dove si accoppia con demoni e bestemmia contro Dio che manda tre angeli a richiamarla ma lei disubbidisce ed allora Dio, dopo aver mutato il paesaggi in ortiche, stermina la prole che lei ha generato. Lilith si vendica uccidendo di notte i  bambini e tormentando gli uomini, facendoli ammalare dopo amplessi spaventosi. Sarà Lilith, poi che, ritornata all’Eden per vendicarsi di Adamo e di Dio, seduce Eva nella forma di serpente e le farà cogliere la fatidica mela. La mitologia è ricca poi di altre figure femminili generatrice di guerre e di altri disastri. Tralasciati miti e leggende, il cinema non poteva non aderire a questa stereotipata rappresentazione e mettere in scena donne che ingannano gli uomini e li conducono, inevitabilmente, alla perdizione, alla rovina e li spingono addirittura a compiere un delitto. La fiamma del peccato, capolavoro di Billy Wilder (1944), inizia proprio con l’amara considerazione off di Walter Neff, che prima di morire, dirà: “Ho ucciso Dietrichson, io Walter Neff, assicuratore, trentacinque anni, scapolo, nessun segno particolare fino a un po’ di tempo fa, cioè…L’ho ucciso per i soldi e per una donna. Non ho avuto i soldi e non ho avuto la donna…”

Creature del Male, protagoniste pellicole diventato di culto (Gilda, Il postino bussa sempre due volte, La signora di Shanghai…) sono desiderabili, libere ed indipendenti. Con il loro volto angelico ed il fascino misterioso stregano chiunque capiti loro a tiro e non si fanno scrupoli se a cadere nelle loro reti seduttive siano degli smarriti e spesso ingenui adolescenti.

Sono Cenerentola, Cleopatra, Eva Braun, sono Biancaneve, sono  Monna Lisa, sono chiunque tu vuoi che sia.” dichiara Johanna Crane (Kathleen Turner) in China blue di Ken Riussell (1984). Gli fa eco una delle prostitute de L’Apolloniude – Souvenirs de la maison close di Bertrand Bonello (2011): “I due libri che ho sono i Diari di De Sade e la Bibbia. E non ho ancora letto la Bibbia”. A chiudere il cerchio “Io non sono cattiva, è che mi disegnano così”, dichiara Jessica Rabbit in Chi ha incastrato Roger Rabbit? di Robert Zemeckis (1988).

Dalla visione di questi film emerge una raffigurazione in negativo dell’universo femminile. Pur consapevole che sul grande schermo compaiono donne materne, generose, affettuose e ribelli, giustamente, a partire dagli anni Settanta, sull’onda del movimento femminista, molte hanno criticato come, nella maggioranza dei casi, registi e sceneggiatori hanno messo in campo  personaggi femminili alquanto discutibili.

Lara Mulvey, attaccò, giustamente, un certo cinema che relegava le donne in una rappresentazione seriale e riduttiva e come registi e sceneggiatori, hanno rappresentato i personaggi femminili sul grande schermo. Ne discende che le donne sono per lo più dei corpi che devono sottomettersi ai desideri maschili e spiati dal buco della serratura. Numerosi sono, infatti, quei film che mostrano donne costrette a spogliarsi, a farsi la doccia, a subire le avances di uomini perennemente assatanati di sesso. Confinate, generalmente, ai margini della storia, ridicolizzate in personaggi banali, sbiaditi e senza personalità o utilizzate come oggetto di decoro e di tappezzeria. In un suo saggio, proditoriamente, affermava:

Nel cinema classico  chi ripercorre con i propri occhi la scena è l’uomo, mentre la donna è colei che si mostra alle occhiate altrui. L’un guarda, l’altra è guardata. Nello stesso tempo l’uomo agisce, controlla gli eventi, fa succedere le cose mentre la donna è una presenza passiva, un elemento della decorazione, una semplice icona. L’uno muove la diegesi, l’altra ne è fuori. Questa doppia situazione fa si che lo spettatore scelga come oggetto di identificazione l’eroe, e come soggetto di godimento l’eroina.; è l’uomo, colui che guarda ed agisce, a fungere da alter ego; è la donna colei che si mostra e resta passiva, a fungere da eccitante e da preda. Ne consegue che il cinema è fatto per un pubblico di uomini.”

Tralasciando le giuste osservazioni della Mulvey, i film analizzati ci mostrano come le donne “tentatrici  più che creature demoniache (il titolo del mio articolo è un evidente riferimento a Il diavolo è femmina diretto nel 1935 da George Cukor) sono donne appassionate, divorate da una profonda voglia di vivere e quando seducono la “vittima” lo fanno solo per infondere in loro l’amore traboccante che le divora. Dalla visione dei film sul tema appare anche evidente che nessun regista e sceneggiatore abbia una posizione moralistica e/o di condanna nei confronti di chi incendia il cuore di uomini smarriti e spaesati.

Articolo pubblicato sulla Rivista Il Corace – Febbraio – 2023

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