Il Dio chiamato Dorian di Massimo Dallamano – 1970 – Durata 104’ – V.M 18

Schede Film e commento critico di Ignazio Senatore

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Basil (Richard Todd) decide di fare il ritratto di Dorian Gray (Helmut Berger), un giovane amico dotato di una bellezza statuaria. Il quadro è così somigliante all’originale che Dorian, come rapito, dinanzi al quadro, dichiara che sarebbe disposto anche a vendere l’anima, se l’immagine ritratta invecchiasse al posto suo.

Come d’incanto questo suo desiderio s’avvera e lui, da anima nobile e puro, si trasforma in un individuo cinico e senza scrupoli.  

Dopo aver vissuto una tempestosa love-story con lui, Sybil (Marie Lijedahl), per le troppe incomprensioni, si suicida e Dorian, trasformatosi in un impenitente donnaiolo, seduce dapprima Gwendalyn (Margaret Lee), la moglie di Wotton e poi le giovani moglie dei suoi amici.

Ma il suo animo inizia a ribollire quando scopre che, dopo ogni nefandezza, il suo ritratto muta espressione. Colto da una profonda disperazione…

Massimo Dallamano, una vita nel cinema come direttore della fotografia (Per un pugno di dollaro, Per qualche dollaro in più…), qualche regia alle spalle (Bandidos, La morte non ha sesso) e qualche altra pellicola di genere diretta dopo questo film (Innocenza e turbamento, Le malizie di Venere, Il medaglione insanguinato, Quelli della calibro 38), ripropone sullo schermo l’immortale vicenda di Dorian Gray.

A differenza delle altre traduzioni sul grande schermo dell’opera di Wilde, l’ambienta negli anni Settanta in una Londra ricca di discoteche e ville sontuose e sottolinea maggiormente l’ambiguità del protagonista che seduce uomini e donne.

La presenza di Helmut Berger, attore viscontiano per eccellenza, dona un tocco ancor più decadente alla pellicola.

Nel complesso Dallamano lo descrive come una creatura dannata, pentita per il diabolico patto stretto con il diavolo. Incomprensibile il divieto alla visione per i minori di 18 anni.